I nuovi sondaggi SWG, l’Eurobarometro ed il sondaggio di IPSOS con Legambiente. — Ultimo aggiornamento: 13/07/2025 —
[tempo di lettura: 10-20 minuti, contenuto: facile, rivolto a tutti]
di Andrea Alberto Bellin e Vladimiro Zacchigna
Per l’edizione tecnico scientifica dell’iWeek tenutasi il 15 aprile 2024 l’istituto di ricerca SWG ha prodotto un nuovo sondaggio (disponibile integralmente qui) sulla percezione dei cittadini italiani in merito alla tematica dell’energia nucleare. Commentiamo di seguito i risultati che riteniamo più rilevanti ed interessanti. L’indagine è stata sottoposta ad un campione rappresentativo della popolazione italiana composto da 800 intervistati ed i dati ottenuti sono stati ponderati secondo i parametri di genere, età, macroarea geografica e partito votato alle ultime elezioni. Il margine di errore delle stime è pari a: +/- 3.5 Punti Percentuali.
Prima di addentrarsi nell’analisi dei risultati ci sembra necessario sottolineare che in molte delle domande poste agli intervistati viene utilizzata la dicitura “nuovo nucleare”, una terminologia che in assenza di ulteriori specificazioni può influenzare le risposte, soprattutto se si fa riferimento a persone poco informate sull’argomento. Questa perifrasi ed altre simili (“nucleare sostenibile”, “moderno nucleare”, “nuovo nucleare”) sono diventate molto comuni nel recente dibattito pubblico e politico italiano (per esempio con le parole dell’attuale Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Pichetto Fratin), la volontà sembra essere quella di aggirare la diffidenza per il “vecchio” nucleare ancora presente in una parte del pubblico, in particolare nei meno giovani. Questa strategia rischia però di sminuire la generazione nucleare III+ attualmente commerciale e diffusa oltre che, come già detto, influenzare le risposte dei meno esperti.
Passando ai risultati del sondaggio è interessante il fatto che questo non si limita a misurare solamente l’atteggiamento nei confronti del nucleare, ma analizza anche la percezione dell’informazione sull’argomento. Si rileva che la maggior parte degli italiani (2 su 3) si sente poco informata sul nucleare e vorrebbe una maggiore informazione a riguardo (3 su 4).
Come evidenziato dai ricercatori nel report del sondaggio, la crescita del dibattito sul nucleare in Italia ha portato una maggiore presa di coscienza e consapevolezza della complessità della situazione ed una minor propensione a dare valutazioni improvvisate ed emotive. Una conseguenza, quasi paradossale, è stata la riduzione della quota di soggetti che si ritengono informati correttamente sui nuovi modelli di reattore.
Si rileva inoltre che attualmente solamente una minoranza (18%) ritiene definitivi i risultati dei due referendum passati.
Per quanto riguarda le diverse tecnologie e generazioni non si rilevano differenze sostanziali oltre al livello di conoscenza (come si può vedere sopra).
È però interessante il fatto che per ogni tecnologia il 40-50 % degli intervistati abbia un’opinione su alcuni temi specifici come sicurezza, emissioni e disponibilità nonostante solamente una minoranza (10-20 %) dichiari di “essere a conoscenza” delle singole tecnologie.
Una delle domande più interessanti è senza dubbio quella su un possibile referendum.
Le risposte confermano quanto rilevato da precedenti sondaggi negli ultimi 2-3 anni: c’è sostanzialmente un 20-30% solidamente contrario ed un analogo 20-30% solidamente favorevole. In mezzo un 20% di indecisi ed un 20% leggermente favorevole persuadibile da “nuove” tecnologie “più sicure” e/o dall’ottenimento di un risparmio economico.
Si confermano inoltre le consolidate caratteristiche socio-demografiche rilevanti per la risposta: i giovani ed i maschi sono i sottogruppi mediamente più favorevoli. È interessante osservare anche che ciò che distingue le opinioni delle diverse generazioni non sia tanto la percentuale degli indecisi, che si mantiene pressoché costante, ma le quote nelle due posizioni più decise ed opposte.
Su questi risultati, oltre alla riapertura della discussione pubblica ed alla maggiore informazione, un ruolo importante l’ha sicuramente giocato la recente crisi energetica vissuta in Europa.
Prima di traslare questi risultati al “mondo reale” è però importante prendere in considerazione che su argomenti così polarizzanti non tutti i voti “contano uguale”: le persone contrarie anche se meno numerose possono essere molto più rumorose, mentre una maggioranza favorevole può non essere così determinata da cercare lo scontro su di un singolo punto. In un clima politico in cui la posizione sul singolo tema è molto più importante per chi è contrario rispetto a chi è favorevole questi aspetti si legano fortemente ai comportamenti sociali che riguardano il voto. Sostanzialmente chi è contrario può togliere il supporto ad un partito o ad un esponente solamente per questa singola posizione, mentre chi è favorevole non è detto che applichi un peso così rilevante rispetto all’insieme di tante altre tematiche.
L’indagine offre ulteriori dettagli su quali siano gli incentivi possibili per spostare la popolazione indecisa (il 40% citato in precedenza) verso una posizione più favorevole. Si rileva infatti che molti contrari risultano essere convincibili da potenziali vantaggi che vanno da aspetti prettamente economici ad aspetti principalmente ambientali come il potenziale riciclo di rifiuti radioattivi ed il minor consumo di suolo, tema molto sentito dalle comunità locali per quanto riguarda altre fonti come eolico e solare.
Al contempo si rileva anche che la % di favorevoli è molto suscettibile al cosiddetto effetto NIMBY (Not In My Back Yard), ossia dalla distanza di questi impianti rispetto alla propria abitazione.
Infine, per quanto riguarda i rifiuti radioattivi, la maggioranza degli italiani ha una scarsa conoscenza della situazione attuale e crede nella sicurezza delle tecnologie di stoccaggio. Tuttavia anche in questo caso è molto forte l’effetto NIMBY: il 66% rimane preoccupato da qualsiasi deposito nell’arco di 100km (definitivo o temporaneo).
Alla luce di questi risultati ci risulta ancora più evidente la necessità di associazioni come la nostra nel panorama informativo italiano, per divulgare al meglio tematiche riguardanti l’energia nucleare con il supporto di esperti del settore.
AGGIORNAMENTI
SWG – NOVEMBRE 2024
Il 26 Novembre 2024 è stato pubblicato un aggiornamento del sondaggio SWG (disponibile integralmente qui). Sono state fatte anche ulteriori domande che mettono in luce il forte interesse e la preoccupazione degli italiani nei confronti della competitività delle proprie aziende, in particolare quelle energivore.
È confermata la scarsa conoscenza della gestione dei rifiuti radioattivi e delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie di reattori proprio in merito all’utilizzo dei rifiuti come combustibile [qui un riassunto divulgativo e qui una pagina più completa in merito].
Si conferma anche la sovrastima dell’impatto ambientale dell’energia nucleare [rimandiamo sempre qui al nostro articolo di approfondimento sulle caratteristiche principali delle varie fonti energetiche].
Inoltre è evidenziata la scarsa conoscenza che hanno gli italiani della propria filiera nucleare, dalle università alle aziende del settore [per farsi un’idea dell’argomento: qui un esempio interessante sulla supply chain italiana per gli SMR, qui per un esempio pratico delle eccellenze italiane nel settore, per quanto riguarda le università invece si può visitare il sito del Consorzio inter-universitario per la ricerca tecnologica nucleare – CIRTEN].
Infine per quanto riguarda la domanda sul possibile referendum (rispetto al sondaggio di aprile 2024):
– Voterei sicuramente a favore passa da 24% a 21% (−3 punti) – Credo che voterei a favore rimane invariato a 27% – Non andrei a votare (7% nella prima rilevazione) non è prevista nell’ultima rilevazione – Non saprei cosa votare sale da 16% a 28% (+12 punti, +5 se togliamo i 7 punti della vecchia opzione “non andrei a votare”) – Credo che voterei contro sale da 10% a 12% (+2 punti) – Sicuramente voterei contro scende da 16% a 12% (−4 punti)
In sintesi gli scostamenti sono minimi ed al limite della significatività statistica, sembra crescere l’indecisione anche se, come detto, le variazioni sono sostanzialmente all’interno del margine d’errore.
EUROBAROMETRO – FEBBRAIO 2025
A febbraio 2025 è stato pubblicato anche l’aggiornamento dell’Eurobarometro (una serie di rilevazioni fatte dall’Unione Europea in tutti gli stati membri) dedicato all’attitudine dei cittadini europei verso la scienza e la tecnologia.
Nota: Il campione nel caso italiano è formato da 1029 intervistati tuttavia c’è un tasso di risposta basso (<30%) che potrebbe portare ad un problema noto comeparticipation bias.
La domanda specifica nel sondaggio mira a conoscere le aspettative sugli impatti che determinate tecnologie avranno nei prossimi vent’anni. In particolare, vengono prese in considerazione: energie rinnovabili, tecnologie dell’informazione e della comunicazione, miglioramento cognitivo e cerebrale, vaccini e lotta contro le malattie infettive, biotecnologia ed ingegneria genetica, esplorazione spaziale, nanotecnologia, energia nucleare per la produzione di energia ed intelligenza artificiale.
Per quanto riguarda l’uso dell’energia nucleare per la produzione di energia, a livello aggregato nell’UE 27 il 56% degli intervistati ritiene che avrà un effetto positivo, sommando il 15% di “molto positivo” ed il 41% di “abbastanza positivo”, mentre il 35% esprime invece un giudizio negativo, sommando il 13% di “molto negativo” ed il 22% di “abbastanza negativo”. Fra le varie tecnologie in esame il nucleare è quella con i risultati peggiori, al pari dell’intelligenza artificiale.
Per quanto riguarda l’Italia, il 52% è positivo (13% di “molto positivo” e 39% di “abbastanza positivo”) mentre il 41% esprime invece un giudizio negativo (16% di “molto negativo” e 25% di “abbastanza negativo”). I risultati non si discostano di molto dal sondaggio SWG in merito al voto ad un possibile referendum per quanto riguarda i “positivi”, mentre i “negativi” divergono significativamente (41% contro il 24% che voterebbe no al nucleare nel sondaggio SWG) ma ancora di più divergono le opinioni indecise, che nel caso del referendum sono 28% mentre l’eurobarometro rileva solamente un 5% di “non so” ed un 2% di “nessun effetto” (questo in particolare potrebbe essere un effetto del participation bias).
Per quanto riguarda il confronto con i risultati del 2021, a livello aggregato nell’UE 27 si riscontra un significativo aumento delle opinioni positive (+10 punti) e diminuzione di quelle negative (-11 punti) che riporta le risposte in linea con quelle dell’indagine del 2005 (prima dell’incidente di Fukushima Daiichi) (qui i risultati del report del 2021 che confronta con quelli del 2005). Per l’Italia, invece, sembra esserci uno marcato spostamento da effetto “molto positivo” a “abbastanza positivo” (rispettivamente -9 e +7 punti) ma in aggregato le risposte positive e negative non sembrano essere cambiate significativamente. Questo appare in contrasto con i risultati della nostra indagine del 2021 commissionata a SWG sopra citati (qui il dettaglio). Tuttavia bisogna rimarcare che quell’indagine aveva come possibili opzioni solamente “sì” oppure “no” (come risposte ad un possibile nuovo referendum) e che quindi le differenze da quei risultati (rispettivamente 33% e 67%) possano essere dovute all’assenza di opzioni meno decise e più caute che, invece, sono presenti sia nell’Eurobarometro che nelle indagini SWG più recenti e che possono cambiare considerevolmente i risultati, in particolare in un periodo in cui la tematica dell’energia nucleare non era ancora tornata presente nel dibattito pubblico.
IPSOS E LEGAMBIENTE – NOVEMBRE 2024
Di recente sono stati rilanciati anche i risultati di un sondaggio di IPSOS commissionato da Legambiente (nota associazione anti nucleare) e presentato alla XVII edizione del Forum “QualEnergia?” (organizzato sempre da Legambiente ed altre 2 note associazioni anti nucleari). L’indagine di novembre 2024 è disponibile interamente qui, aggiorna una precedente di luglio 2024 ed è generalmente rilanciata come “l’81% del campione non vuole un ritorno al nucleare”, risultato che sarebbe completamente in contraddizione con tutti gli altri sondaggi sopra citati. Questo risultato così divergente è – a nostro avviso – problematico non tanto perché il sondaggio è sponsorizzato e rilanciato da associazioni con un “conflitto di interessi” – che comunque è giusto segnalare – ma soprattutto per com’è posta la domanda nel sondaggio. Come si può vedere di seguito, non solo questo “81% di contrari” comprende anche il 38% che hanno risposto “Se ci fosse una tecnologia più sicura di quella attuale, sarebbe opportuno studiarla” che è quantomeno da considerare come opinione “parzialmente positiva” ma soprattutto il problema sorge quando si analizzano le opzioni di risposta. Infatti, la struttura delle opzioni non è standard, come è sempre consigliabile, ossia con circa 5 opzioni il più possibilmente equidistanti e simmetriche in modo da formare un gradiente di preferenza il più completo possibile (ad esempio: “molto”, “abbastanza”, “poco”, “per niente”, “non so” che è una scala discendente di accordo oppure “molto favorevole”, “poco favorevole”, “incerto”, “sfavorevole”, “molto sfavorevole” che prende le posizioni speculari) se non utilizzando direttamente un sistema a punti su un scala congrua, ad esempio da 1 a 10 (ma può essere anche a 5, 7, 100 punti in base alla cultura e le abitudini della popolazione di interesse) [queste sono informazioni basilari di un qualsiasi corso universitario che tratti le indagini statistiche, per un riferimento bibliografico si può prendere, ad esempio, il capitolo 2 del manuale istat sulle tecniche di indagini]. Nel sondaggio in questione tutte le risposte sono eccessivamente complesse e tendono ad indurre la risposta ponendo ripetutamente l’attenzione sui problemi del nucleare invece che dare opzioni semplici, chiare e scevre da pregiudizi. Viene considerata un’unica opzione positiva su 4 (manca anche una risposta chiaramente “indecisa” oppure “non so”) con in aggiunta un’opzione che, come detto in precedenza, si potrebbe considerare “parzialmente positiva” anche se la formulazione rimane tendenziosa dato che utilizza la parola “studiarla” invece che, ad esempio, “implementarla” oppure “utilizzarla”, ed infine vi sono 2 opzioni entrambe negative che dettagliando esplicitamente alcuni problemi influenzando la risposta [anche questo è un bias noto nelle indagini statistiche, per un ulteriore riferimento bibliografico si veda anche Sampling Design and Analysis di Sharon L]. Analizzando i risultati tenendo conto delle opzioni fornite si può provare a fare un paragone con il sondaggio swg sopra citato:
– il 19% rilevato “positivo” è paragonabile al 21% “voterei sicuramente a favore” nel sondaggio SWG – il 38% “possibilista” per le nuove tecnologie è paragonabile al 27% “credo che voterei a favore” includendo anche una quota del 28% “non saprei cosa votare” nel sondaggio SWG – il 43% (26 + 17) delle due risposte più negative è paragonabile al 24% (12 + 12) del “voterei sicuramente contro” e “voterei probabilmente contro” includendo anche una quota del 28% “non saprei cosa votare” nel sondaggio SWG.
In conclusione, analizzando complessivamente i vari sondaggi e tenendo conto delle criticità dell’ultimo citato, riteniamo più che corretto contrastare affermazioni come “l’81% degli italiani non vuole un ritorno al nucleare”. Siamo altresì consapevoli che rimane ancora molto lavoro da fare sul fronte della divulgazione e dell’informazione, e che guadagnare il consenso e la fiducia di gran parte degli italiani rimane una sfida considerevole.
SWG – MAGGIO 2025
Dall’osservatorio settimanale di SWG “Radar” all’interno del sondaggio per il periodo 19–25 maggio 2025 sono presenti alcuni quesiti che trattano anche la tematica dell’opinione degli italiani sull’energia nucleare. Il sondaggio è stato promosso da Fondazione Lottomatica, e con un campione di 800 persone è rappresentativo della popolazione maggiorenne ed intervistato con metodologia CAWI (un’indagine online in cui i partecipanti compilano autonomamente il questionario). Vi sono in particolare un quesito dedicato alle riflessioni dovute alla vicenda del blackout in Spagna ed un altro specifico sull’energia nucleare. NOTA: segnaliamo che anche in questi quesiti viene usata la locuzione “energia nucleare di nuova generazione” con tutte le ambiguità e le problematiche già discusse in precedenza.
Dal primo quesito si rileva che il 64% degli intervistati sarebbe disposto ad investire sull’energia nucleare “pensando al futuro, per evitare emergenze energetiche“.
SWG e Fondazione Lottomatica. Valori espressi in %. Date di esecuzione: 14 – 16 maggio 2025. Metodo di rilevazione: sondaggio CAWI su un campione rappresentativo nazionale di 800 soggetti maggiorenni.
Mentre il secondo quesito, che esamina direttamente le opinioni in merito agli “impianti nucleari di nuova generazione come possibile fonte di energia per garantire al Paese una riduzione delle emissioni e una maggiore autonomia energetica“, mostra che:
Il 57% degli intervistati ha una visione complessivamente positiva verso l’utilizzo del nucleare:
il 25% lo considera una scelta utile e strategicamente importante da affiancare alle fonti rinnovabili;
il 32% ritiene invece sia una strada concreta ma da intraprendere con cautela e forte attenzione alla sicurezza.
D’altra parte, il 43% manifesta contrarietà:
il 22% pensa che sia “l’ultima spiaggia”, da prendere in considerazione solo dopo aver sfruttato al massimo le energie rinnovabili;
il 21% giudica il nucleare un errore che non dovrebbe entrare nella strategia energetica italiana.
SWG e Fondazione Lottomatica. Valori espressi in %. Date di esecuzione: 14 – 16 maggio 2025. Metodo di rilevazione: sondaggio CAWI su un campione rappresentativo nazionale di 800 soggetti maggiorenni.
Questi risultati confermano un andamento già rilevato da sondaggi precedenti degli ultimi anni e più volte ribadito in questo articolo che divide la popolazione in 4 gruppi più o meno del 20-30%: uno solidamente favorevole, uno solidamente contrario, uno cautamente favorevole ed uno potenzialmente persuadibile o altresì non contrario ma scettico. Si ribadisce, inoltre, che la quota di solidamente favorevoli è leggermente più sostanziosa dei solidamente contrari. Infine, è interessante il 22% che si dichiara favorevole al nucleare ma esclusivamente come seconda opzione, dopo aver dato priorità alle fonti rinnovabili. Possiamo presumere che in questa quota vi siano ancora delle preoccupazioni dovute alla sicurezza della tecnologia e/o ad altre tematiche più diffuse recentemente come quella dei costi e dei tempi, infatti possiamo riscontrare delle similitudini con i sondaggi precedentemente discussi che trattavano l’impatto del fenomeno NIMBY o che trattavano la quota di persone convincibili da potenziali vantaggi economici ed ambientali.
–AGGIORNAMENTO 24/4/2024: pubblichiamo in coda all’articolo il link alle slide e alcune foto dell’evento —
Il prossimo 22 aprile, in occasione della Giornata Mondiale della Terra, avrà luogo a Milano, nella sede Lions di Corso Lodi 8/c, un evento promosso dai Leo Club Cinisello Balsamo e Abbiategrasso, in collaborazione con il Comitato Nucleare e Ragione. Si tratta di un seminario di sensibilizzazione (accompagnato da un aperitivo) sul tema degli obiettivi di decarbonizzazione fissati per il 2050, con un particolare focus sulle politiche energetiche e sul binomio Nucleare e Rinnovabili.
In questa occasione interverranno l’ing. Renzo Colombo, responsabile della sezione territoriale di Milano di Nucleare e Ragione, e i soci Aurora Pinto e Marco Battaglia.
L’evento è aperto a tutti ed è gratuito. Obbligatoria l’iscrizione tramite Google Form, accessibile a questo link: https://forms.gle/vowa6yogNCa7eMN97
Lo scorso 9 aprile il presidente del Comitato Nucleare e Ragione, il dott. Pierluigi Totaro, ha partecipato alle audizioni promosse dalle Commissioni VIII e X della Camera dei Deputati, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sul ruolo dell’energia nucleare nella transizione energetica e nel processo di decarbonizzazione. Riportiamo qui il video integrale dell’intervento, nonché il testo del documento consegnato alle Commissioni e depositato agli atti.
INDAGINE CONOSCITIVA
sul ruolo dell’energia nucleare nella transizione energetica e nel processo di decarbonizzazione
Contributo del COMITATO NUCLEARE E RAGIONE
Onorevoli deputati,
è per me un onore prendere la parola in rappresentanza di tutto il Comitato Nucleare e Ragione, una realtà associativa che da più di dieci anni si impegna nel promuovere una corretta informazione sulle problematiche energetiche, in particolare sul ruolo che le tecnologie nucleari possono rivestire in questo contesto. Fanno parte del Comitato più di duecento persone, tra docenti universitari, ricercatori, studenti, insegnanti, tecnici e professionisti, che a titolo gratuito e mossi da passione e impegno civico, mettono a disposizione le proprie competenze per diffondere la cultura scientifica nel nostro Paese.
Vorrei offrire in questa occasione il punto di vista maturato dalla nostra associazione, toccando con mano le preoccupazioni dei cittadini, ed evidenziare quanto una divulgazione capillare e paziente possa contribuire concretamente alla costruzione di una cittadinanza più consapevole e propensa ad abbandonare i propri pregiudizi e ad abbracciare le innovazioni tecnologiche.
L’Italia, purtroppo, paga il peso di anni di disinformazione e di narrazioni lontane dalla realtà, spesso alimentate ad arte. La rivalutazione dell’opzione nucleare per il nostro Paese rappresenta da questo punto di vista una sfida tecnologica ed economica che richiede, quale presupposto imprescindibile, un vero e proprio cambio di paradigma culturale. È fondamentale che le istituzioni si facciano promotrici di questo cambiamento, innanzitutto riconoscendo le evidenze scientifiche a supporto di questa tecnologia, e promuovendo a tutti i livelli le opportune iniziative finalizzate a diffondere tali evidenze. Di fronte agli obiettivi da raggiungere entro il 2050 per la transizione energetica, che andranno inevitabilmente a impattare sulla vita di tutti i cittadini, le campagne di informazione e la costruzione di una cultura della responsabilità rappresentano un tassello fondamentale e spesso purtroppo sottovalutato. Questo vale per tutte le azioni che il nostro Paese dovrà mettere in atto nei prossimi decenni, a prescindere dall’eventuale introduzione, o meno, dell’energia nucleare nel futuro mix energetico.
Alla luce di queste considerazioni, emerge chiara la necessità di una comunicazione alla cittadinanza che sia chiara e trasparente e che distingua tra fatti ed opinioni. L’attuale gestione dell’iter di localizzazione del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi rappresenta purtroppo, da questo punto di vista, un evidente fallimento. L’opera è inequivocabilmente necessaria, fattualmente sicura, già adottata senza alcun problema dalla stragrande maggioranza dei paesi Europei, oltre che richiesta dalle normative comunitarie, rispetto alle quali l’Italia è già in condizioni di infrazione. La sua realizzazione dovrebbe pertanto ricevere il supporto unanime e incondizionato di tutte le forze politiche, sia a livello nazionale sia a livello locale, con l’auspicabile impegno bipartisan a non alimentare le pulsioni “nimby” delle popolazioni, bensì ad arginarle. Sta accadendo esattamente il contrario: la fiducia dei cittadini, invece di essere alimentata tramite informazioni corrette e oggettive, viene costantemente minata dalla diffusione di messaggi contraddittori e poco rassicuranti. L’evidente conflitto tra istituzioni e amministrazioni locali non fa che accrescere le incertezze e le resistenze.
Va rimarcato con chiarezza: la realizzazione del Deposito Nazionale rappresenta il primo banco di prova del summenzionato cambiamento di paradigma culturale che il nostro Paese deve mettere in atto.
Riguardo all’energia nucleare e al suo ruolo nel processo di transizione energetica i fatti – non le opinioni – parlano chiaro: il consenso della comunità internazionale sulle potenzialità del nucleare nelle azioni di contrasto ai cambiamenti climatici, sulla sua sostenibilità ambientale, sulla sua sicurezza, sulla capacità di stabilizzare la rete e di ridurre i costi di sistema e i prezzi in bolletta, è solido e convalidato dai principali organismi tecnico-scientifici (IAEA, UNECE, IEA, JRC, IPCC) che a vario titolo ne hanno analizzato le caratteristiche, elaborando scenari e proiezioni. Quanto appena espresso – sia chiaro – è vero anche per ciò che riguarda le tecnologie già oggi disponibili e implementabili. I reattori modulari, gli impianti di quarta generazione, la fusione, potranno certamente ampliare nel medio e nel lungo termine lo spettro di soluzioni, moltiplicare le opportunità di investimenti, ottimizzare il consumo di combustibile e ridurre il volume dei rifiuti. Tuttavia, dal punto di vista della sicurezza e della sostenibilità ambientale gli impianti a fissione di terza generazione avanzata, che rappresentano gran parte dei 60 reattori attualmente in costruzione nel Mondo, non fanno eccezione, rientrano a pieno titolo nella Tassonomia Europea ed hanno tutti i requisiti per poter essere adottati anche nel nostro Paese.
Il legislatore e tutte le forze politiche hanno il dovere – per il ruolo che ricoprono – di prendere atto con responsabilità di queste verità fattuali, a prescindere dal proprio sostegno o meno alla reintroduzione dell’energia nucleare in Italia. Siano le analisi costi-benefici – e non i pregiudizi e gli stereotipi – a determinare quale possa essere il giusto mix energetico per il nostro Paese e se, e in quale misura, il nucleare possa farne parte. Soprattutto, si eviti la narrazione, purtroppo molto radicata, che vede contrapporre il nucleare alle fonti rinnovabili. In un contesto in cui ancora l’80% del fabbisogno energetico nazionale dipende dai combustibili fossili, nucleare e rinnovabili possono sinergicamente contribuire all’abbattimento di questa dipendenza, e portarci più rapidamente al raggiungimento degli obiettivi net-zero entro il 2050.
L’auspicio del Comitato Nucleare e Ragione è che le istituzioni si facciano carico di questa sfida. Come cittadini e come comunità di scienziati, ricercatori, studenti, divulgatori siamo pronti a fare la nostra parte.
Roma, 9/4/2024
Pierluigi Totaro Presidente del Comitato Nucleare e Ragione
Per la serie “i borghi radioattivi d’Italia” oggi parliamo di un posto speciale: Civita di Bagnoregio, antico borgo etrusco costruito su uno sperone di roccia in provincia di Viterbo, con la Valle dei Calanchi a fargli da sfondo. Lo abbiamo visto in film e spot pubblicitari, ma Civita è uno di quei posti da visitare di persona. L’erosione della collina e l’inesorabile spopolamento le sono valsi l’appellativo di “città che muore” [1]. Gli abitanti rimasti sono solo una decina, ma le centinaia di migliaia di turisti che la visitano ogni anno possono renderla piuttosto affollata [2]. Quasi nessuno di loro sa che questo luogo fiabesco è anche uno dei posti più radioattivi d’Italia con ratei di dose da radiazione gamma tra 0.40 e 0.50 μSv/h, circa sei volte il fondo ambientale medio italiano [3].
Immagine 1 – Andamento del rateo di dose media oraria da radiazione gamma durante una gita a Civita di Bagnoregio (VT). Partenza dai dintorni di Cortona (AR) con dose di circa 0.05 μSv/h. Durante il viaggio si arriva intorno agli 0.15 μSv/h. All’ingresso nel centro storico il rateo sale oltre gli 0.50 μSv/h. Sulla via di casa i valori tornano su livelli vicini al fondo ambientale medio italiano. Il periodo di 90 minuti trascorso all’interno del centro storico corrisponde alla banda viola in alto: rateo medio di dose 0.49 μSv/h. Dosimetro Tracerco PED+
Cosa rende Civita così radioattiva? Qualcuno l’ha contaminata con rifiuti provenienti da chissà dove? No, semplicemente Civita di Bagnoregio, come tanti altri borghi d’Italia, è costruita con il tufo sul tufo e dove c’è tufo ci sono l’Uranio 238 e il Torio 232 con le loro progenie [4], oltre al Potassio 40, radioisotopi presenti ovunque in natura, ma di più in alcune di rocce magmatiche.
Immagine 2 – Spettro gamma rilevato a Civita di Bagnoregio. Durata della misura: 60 minuti. Rateo medio di dose da radiazione gamma: 0.51 µSv/h. Sono i visibili i picchi gamma di Uranio 238 e Torio 232 con le loro progenie e del Potassio 40. Spettrometro Mirion PDS 100G
Mettiamo le cose in prospettiva: 0.50 μSv/h è più del doppio della media di quanto ho preso nelle sette ore circa che ho passato a girare intorno alla centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi nel 2019, ed è più o meno il rateo medio che ho rilevato nell’ora che ho trascorso dentro la No-Go Zone [5], ovvero l’area della prefettura di Fukushima in cui non è permesso vivere, dove si può transitare in auto, ma non è consentito fermarsi e nemmeno aprire il finestrino.
Ma la radioattività di Civita è “naturale”, quella di Fukushima è “artificiale”, c’è una bella differenza, no? No, ma se vuoi tranquillizzare qualcuno, che si tratti di medicine, cibo, cosmetici, saponi, persino di materassi o spugne da bagno, “naturale” è la parola magica. “100% naturale” deve essere una delle formule di marketing più efficaci di sempre e si basa su un’idea semplice: la natura è buona e ciò che è naturale non può farmi male. Basterebbe ricordare che batteri e virus sono naturali, così come i terremoti, gli tsunami e una lunga lista di veleni, per capire che non è così.
In fatto di radiazioni non c’è una radioattività buona (naturale) e una cattiva (artificiale). Quando una radiazione ionizzante interagisce con il nostro corpo, l’organo di turno non gli chiede se è naturale o no. La dose dipende dall’energia [6], e l’energia si misura con un numero, non con un aggettivo.
Immagine 3 – Centinaia di persone risalgono il ponte per accedere al centro storico di Civita di Bagnoregio nel giorno di Pasquetta 2023.
Una differenza in effetti però c’è: il Cesio 137 “artificiale” di Fukushima, con la sua emivita di 30 anni [7], scomparirà nel giro di qualche generazione, mentre i radioisotopi “naturali” che rendono radioattiva Civita di Bagnoregio hanno tempi di dimezzamento paragonabili all’età del sistema solare o dell’universo stesso: 4.5 miliardi di anni per l’Uranio 238 [8], oltre 1.2 miliardi di anni per il Potassio 40 [9] e addirittura 14 miliardi di anni per il Torio 232 [10]. Erano lì molto prima degli etruschi, e staranno ancora emettendo radiazioni alfa, beta e gamma quando gli oceani saranno evaporati e la nostra specie si sarà estinta o sarà dovuta migrare su altri pianeti per sopravvivere.
Immagine 4 – Pasquetta 2023, centro storico affollato di turisti. Rateo di dose nella piazza centrale intorno agli 0.50 μSv/h. Dosimetro Tracerco PED+
Ma allora Civita è pericolosa? L’Organizzazione Mondiale della Sanità ci dice che livelli simili di radioattività, per quanto sopra la media, non costituiscono un rischio per la salute, anche vivendoci in pianta stabile [11] (*). Quindi continuiamo a visitare Civita di Bagnoregio ogni volta che ne abbiamo l’occasione. Certo che se Civita, anziché uno dei borghi più belli d’Italia, fosse stato un impianto industriale di qualunque tipo, la storia delle radiazioni sei volte sopra la “media” avrebbe mobilitato frotte di comitati e di politici “dalla parte dei cittadini”, che l’avrebbero già fatta radere al suolo. Ci avrebbero spiegato che non ci vuole molto a capire che le radiazioni sono incompatibili con un territorio come il nostro ad alta vocazione turistica. In effetti ci vuole pochissimo, basta ignorare il fatto che ci sono sempre state.
A proposito di impianti industriali, vivere nelle vicinanze da una centrale nucleare comporta in media una dose aggiuntiva di radiazioni di circa 0.1 μSv in un anno [12], la stessa che si prende dal fondo ambientale medio italiano in circa un’ora e mezzo e a Civita di Bagnoregio in meno di 15 minuti.
Immagine 5 – Cosa rende Civita di Bagnoregio così radioattiva? Il tufo.
L’evento di presentazione del capitolo italiano di Women in Nuclear (WIN-Italy) ha segnato un momento significativo nella promozione dell’eccellenza nucleare italiana. Tenutosi al Politecnico di Milano lo scorso 21 marzo, l’evento ha offerto un’opportunità unica per comprendere il progetto, i suoi componenti e per accogliere ospiti d’eccezione.
Nata nel 2023, l’associazione promuove una divulgazione del settore nucleare e della radiazione, dando spazio a figure femminili del settore in ambito scientifico e lavorativo. Lo scopo di WiN Italy spazia dalla divulgazione tramite eventi e contenuti multimediali, al potenziamento di reti di professionisti e professioniste in ambito lavorativo, ad attività con università e scuole, così come eventi rivolti al grande pubblico. Nel corso dell’evento è stato possibile approfondire la missione, gli obiettivi e le strategie del progetto.
La presentazione delle figure chiave che stanno guidando il progetto (Margherita Morriello, Stefania Salmini, Elena Agostoni, Elettra Sophia Casartelli, Ludovica Tumminelli, Martina Simonetti, Laura Sanna e Martina Pozzi) ha mostrato giovani donne universitarie determinate e appassionate, che portano avanti con dedizione e competenza la missione di WIN-Italy. Le loro conoscenze, esperienze e prospettive uniche, guidate da Cèline Conreau, presidente dell’associazione, sono fondamentali per il successo e la crescita di questa iniziativa.
Nel corso dell’evento, la professoressa Valeria Russo ha citato l’importanza di promuovere la conoscenza del settore nucleare tra le giovani donne, sottolineando come la partecipazione femminile sia essenziale per garantire una prospettiva più inclusiva e diversificata. La testimonianza di Giovanna Gabetta, prima laureata in ingegneria nucleare al Politecnico di Milano, ci ha permesso di immedesimarci nelle difficoltà da lei affrontate al momento della laurea, in quanto donna. Nonostante le sfide, ha anche sottolineato come il suo amore per la materia e il sostegno dei suoi mentori abbiano contribuito al suo successo e alla sua carriera. L’evento si è poi concluso con un discorso finale tenuto da Patricia Schindler.
Le parole di Laura Sanna e Martina Pozzi:
“In questo momento la divulgazione nelle scuole è molto importante, anche pensando ad esempio al deposito nazionale. Io vengo dalla Sardegna e ho cercato nel mio piccolo di fare divulgazione e riconosco ci sia un gap da colmare, a partire dalle scuole, per creare un nuovo modo di pensare. Bisogna essere più aperti a ciò che non si conosce, informarsi e capire i concetti nella loro globalità” – Laura Sanna
“Oggi abbiamo presentato al Politecnico di Milano perché la maggior parte delle socie fondatrici sono studentesse del Politecnico, ma non vogliamo limitarci al nord Italia o all’unica area Milanese. Ci aspettiamo di crescere sia per numero di iscritti che di collaboratori perché oggi siamo pochi e non sufficienti per gli obiettivi che abbiamo. Siamo anche alla ricerca di aziende che possano supportarci. Ad oggi ringraziamo FACO e l’amministratore delegato Marco Dalla Rosa che questa sera era presente eche ci ha supportato per iniziare questo progetto, ma ci auguriamo che anche altre aziende possano farlo in futuro!” – Martina Pozzi
La presentazione del capitolo italiano di Women in Nuclear rappresenta un esempio di unione e un modello in cui identificarsi. Giovani donne e giovani uomini possono collaborare verso una divulgazione corretta e sempre più necessaria del tema, ispirando a loro volta, in modo fondamentale, le giovani menti del domani.
L’articolo si prefigge l’obiettivo di riassumere i punti principali del report del centro di ricerca europeo del 2021, sono però presenti anche alcune integrazioni da parte dell’autore. [articolo aggiornato il 19/06/2024 e successivamente il 20/10/2024]
Nel 2019, il Technical Expert Group (TEG) nominato dalla commissione europea, si trovò in difficoltà nel dover determinare se l’energia nucleare potesse essere inserita o meno nella tassonomia europea. Mentre sul primo punto del regolamento il gruppo non ebbe dubbi, sostenendo che “il potenziale contributo dell’energia nucleare agli obiettivi di mitigazione del cambiamento climatico è ampio e chiaro”, grande incertezza si rivelò riguardo il rispetto degli altri 5 principi:
Adattamento al cambiamento climatico
Uso sostenibile e protezione dell’acqua e delle risorse marine
Transizione verso un’economia circolare
Riduzione degli sprechi e riciclo dei materiali
Contenimento dell’inquinamento e tutela degli ecosistemi.
Di conseguenza il TEG si definì non competente per prendere questa decisione e raccomandò un lavoro più ampio preparato da un gruppo di esperti del ciclo di vita nucleare e del ciclo del combustibile. E’ così che nell’estate del 2020, la commissione europea (DG FISMA) incarica il Joint Research Centre (JRC), l’organo scientifico indipendente dell’UE, di redigere un’analisi approfondita che concluda se l’energia nucleare rispetta o no i 6 obiettivi della tassonomia europea [1]. Lo studio esamina quindi gli effetti dell’utilizzo dell’energia nucleare nei confronti del criterio di Do Not Significant Harm (DNSH), comparandoli con gli impatti derivanti da altre fonti di energia già considerate sostenibili. Infine, prima della pubblicazione, due commissioni di esperti indipendenti hanno revisionato il documento fornendo pareri tecnici: la Scientific Committee on Health, Environmental and Emerging Risks (SCHEER) [2] e il gruppo di esperti relativo all’articolo 31 del trattato Euratom [3]. Entrambi i gruppi concordano con le conclusioni del JRC, è giusto però sottolineare che lo SCHEER, nel suo report, muove diverse critiche. In particolare riguardo l’interpretazione del concetto di DNSH, che secondo gli autori viene rispettato se l’impatto valutato è pari o inferiore a quello di altre tecnologie già incluse nella tassonomia, mentre secondo lo SCHEER non è sufficiente e per quanto concerne la questione dell’inquinamento termico. Il JRC ha quindi confrontato l’energia nucleare con le altre fonti già presenti all’interno della tassonomia europea (cap 3.2), basandosi sull’attuale stato dell’arte della letteratura scientifica di LCA. Gli impatti ambientali analizzati sono:
Emissioni di gas climalteranti (GHG)
Uso delle risorse idriche e marine
Consumo di acqua
Emissioni di NOx e SO2
Acidificazione ed eutrofizzazione delle acque
Ecotossicità dei bacini e dei mari
Produzione di rifiuti e loro riciclabilità
Utilizzo di minerali (rispetto alla loro abbondanza sulla Terra)
Riciclabilità dei materiali
Occupazione del suolo
Generazione di rifiuti chimici
Generazione di rifiuti radioattivi
Rilascio di sostanze inquinanti nell’ambiente
Particolati in atmosfera
Potenziale impatto sull’ozono
Creazione di ossidanti fotochimici
Potenziale tossicità umana
Mortalità umana
Parte A:
Emissioni del nucleare: Visto l’attuale contesto di crisi climatica, le emissioni di gas climalteranti sono uno dei principali indicatori da prendere in considerazione e si misurano dividendo la massa di GHG rilasciati durante tutte le fasi della vita di un impianto per la quantità di energia che produrrà (gCO2eq/kWh).
Lo studio scelto dal JRC per fare il primo confronto tra le diverse fonti attesta il nucleare a 28 gCO2eq/kWh [4], in linea con eolico e idroelettrico (Fig 3.2-6, parte A del report). Il documento fornisce nel complesso valori oramai superati per tutte le tecnologie a basse emissioni. In particolare, per il nucleare, risulta più alto di quanto riportato dall’analisi sistematica di Warner and Heath (2012) [5], pubblicazione utilizzata anche dall’IPCC, ovvero 12 gCO2/kWh. Tale differenza è dovuta all’uso della mediana (meno influenzata da valori estremi) anziché della media e al fondamentale lavoro di selezione degli studi e armonizzazione eseguito dagli autori. Studi con assunzioni ancora più attuali mostrano come le emissioni si attestano con ogni probabilità sotto i 10 gCO2eq/kWh, in particolare in regioni con mix elettrici più puliti (come Europa o Canada) [6][7][8][9][10][11]. A tale conclusione è giunta anche una recente meta-analisi [12]. Questo calo è determinato principalmente dalle assunzioni sul metodo di estrazione e sulla tecnologia per l’arricchimento dell’uranio. Per estrarre il minerale esistono soprattutto tre tecniche: miniere a pozzo aperto, miniere sotterranee e lisciviazione in situ. La terza tecnica risulta essere la meno impattante dal punto di vista delle emissioni e in continua crescita, oltre che la più utilizzata da diversi anni. Per arricchire l’uranio esistono invece due tecniche: diffusione gassosa e centrifugazione. La prima tecnica, dal 2020, è stata sospesa a livello globale, passando quindi alla seconda, decisamente meno energivora (circa 50 volte)[6]. Va detto che anche la concentrazione di uranio ha un elevato impatto sulle emissioni; però, osservando il contesto in ottica futura, con mix energetici puliti, i possibili metodi di estrazione alternativi (acqua di mare) e la IV generazione, è probabile che le emissioni dell’energia nucleare mantengano questa tendenza. Uno studio che prova ad analizzare le emissioni in futuro (al 2050), basandosi quindi su una produzione elettrica ancora più pulita di quella attuale, ma senza considerare il calo della concentrazione dell’U235, è Pehl et al. (2017) [13] ed attesta il nucleare stabilmente sotto i 5gCO2/kWh. Si può perciò concludere che, come affermato nel report JRC, le emissioni medie di gas serra nel ciclo di vita dell’energia nucleare sono paragonabili ai valori dell’energia idroelettrica ed eolica.
Inquinamento idrico: Gli indicatori da analizzare per l’impatto idrico sono diversi: consumo d’acqua, potenziale di acidificazione, potenziale di eutrofizzazione, potenziale di ecotossicità acquatica (marina e d’acqua dolce) e inquinamento termico. Il consumo d’acqua, come per ogni impianto termoelettrico, è più elevato di fonti come fotovoltaico ed eolico, però in linea con altre rinnovabili come idroelettrico (che però non dissipa l’acqua), solare a concentrazione o biomasse (Fig 3.2-7, parte A). Vista la stretta correlazione tra le emissioni di NOx e SO2 e gli altri potenziali sopracitati, il basso inquinamento atmosferico comporta anche un basso inquinamento idrico (Fig 3.2-9, -10, -11, parte A). Vi è poi l’inquinamento termico, che però, come sottolineato nella revisione dello SCHEER, purtroppo non viene particolarmente approfondito all’interno del report.
Nota dell’autore: In ogni caso le misure di prevenzione, basate sulle stringenti normative europee, e accorgimenti come l’attenta scelta del sito (verificando le disponibilità di ampie risorse idriche, la profondità dei fondali o la presenza di correnti), il riciclo dell’acqua scartata, l’iniezione di acqua aggiuntiva ad adeguata velocità in mare e gli stretti controlli delle temperature permettono di ridurre efficacemente gli impatti [14][15][16]. In generale l’industria nucleare si sta dimostrando efficiente nel risolvere i vari problemi ingegneristici causati da condizioni atmosferiche estreme legate alle temperature elevate [17][18][19][20].
Perciò, conclude il JRC, non vi è alcuna prova che l’energia nucleare faccia più danni all’uso sostenibile e alla protezione dell’acqua e delle risorse marine rispetto ad altre tecnologie incluse nella Tassonomia.
Inquinamento atmosferico: Andando a considerare le emissioni in atmosfera di prodotti come ossidi di azoto (NOx), anidride solforosa (SO2), particolato (PM) e composti organici volatili non metanici (COVNM), particolarmente dannosi per l’uomo e l’atmosfera (p. e. sull’ozonosfera), i valori ottenuti sono migliori o paragonabili rispetto all’energia solare, eolica e idroelettrica (Fig 3.2-8, -18, parte A).
Impatti sulla biodiversità e gli ecosistemi: Il primo indicatore preso in considerazione è il Terrestrial Ecotoxicity Potential (TETP) e si riferisce all’impatto sugli organismi viventi derivante dalle emissioni nel ciclo di vita di sostanze tossiche nell’aria, nell’acqua e nel suolo. Come per il potenziale di ecotossicità acquatica, l’unità di misura sono i grammi di 1,4-dichlorobenzene equivalenti per unità di energia prodotta (gDCB-eq/kWh). Il secondo indicatore utilizzato è il Potentially Disappeared Fraction ed analizza l’impatto derivante dalle emissioni tossiche nell’aria, nell’acqua e nel suolo valutando la quantità di specie perdute in 1m² di superficie terrestre in un anno, per unità di energia prodotta (PDFm² yr/MWh). Il terzo indicatore, anch’esso espresso in PDFm² yr/MWh, è l’impatto sulla biodiversità derivante dall’uso di suolo; infatti la modificazione del territorio dovuta alle attività umane è una potenziale causa di perdita di biodiversità. Come mostrato dalle fig. 3.2-22 e 3.2-23 (p. A) del report, il nucleare risulta essere tra le fonti energetiche meno impattanti, con solo il gas naturale sotto di esso. Si può quindi concludere che non ci sono prove che l’energia nucleare faccia più danni alla protezione e al ripristino della biodiversità e degli ecosistemi rispetto ad altre tecnologie energetiche incluse nella Tassonomia.
Consumo di suolo e risorse: All’interno delle analisi di LCA, per analizzare il consumo di risorse, si tende a utilizzare il “potenziale di esaurimento abiotico” (ADP), che fa riferimento all’utilizzo delle risorse non viventi (abiotiche) come metalli, minerali e combustibili fossili. Anche lo sfruttamente di risorse naturali presenti in scarse quantità viene tenuto in considerazione. L’unità di misura in questo caso sono i grammi di Antimonio equivalenti divisi sempre per l’energia prodotta (gSb-eq/kWh).
Vista la grande quantità di energia liberata dalla fissione nucleare, il consumo di risorse rimane generalmente molto limitato, perciò sia l’utilizzo di suolo che l’ADP (fossili e non fossili) vedono l’energia nucleare come fonte energetica più sostenibile, con un impatto significativamente minore di solare ed eolico. Abbiamo trattato l’uso dei materiali anche nella nostra FAQ specifica sul confronto delle varie fonti energetiche. Per maggiori approfondimenti [21].
Produzione di rifiuti: Dal punto di vista di un’economia circolare, i grandi impianti caratterizzati da un uso elevato di calcestruzzo risultano meno riciclabili rispetto a fonti come eolico e solare, le quali richiedono principalmente metalli. E’ da sottolineare però, che il calcolo di tale potenziale è basato principalmente su costanti di riciclabilità relative ai materiali primari (metalli 100%, calcestruzzo 79.4%), lasciando quindi ampie incertezze sulla reale fattibilità di tale pratica, soprattutto per quanto riguarda il solare.
Viene poi il confronto dei rifiuti più pericolosi generati dalle diverse fonti energetiche, i quali necessitano di essere contenuti in depositi adeguati. Viste le nature diverse di questi scarti (rifiuti chimici e radioattivi), il miglior metro di paragone, anche se molto limitato, è il volume per unità di energia prodotta (m³/kWh). Le quantità di rifiuti chimici generati dall’energia nucleare sono minime (Fig. 3.2-16, p. A), anche più basse di altre fonti rinnovabili, e sono invece i rifiuti radioattivi a caratterizzare tale tecnologia (Fig. 3.2-17, p. A). Un punto importante da sottolineare è che alcuni paesi (p. e. Francia) non considerano il combustibile esausto come uno scarto viste le grandi quantità di uranio e plutonio, riutilizzabili nei reattori autofertilizzanti veloci o tramite il riprocessamento, presenti all’interno. Anche se tali tecnologie non sono ancora impiegabili su larga scala, rappresentano comunque un’opzione per il prossimo futuro, rendendo quindi il combustibile esausto una potenziale risorsa riciclabile.
Fonte: Argonne National Laboratory
In conclusione, non ci sono evidenze che l’energia nucleare faccia più danni alla transizione verso un’economia circolare, compresa la prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti, rispetto ad altre tecnologie energetiche incluse nella tassonomia. Tuttavia, per quanto riguarda specificamente i rifiuti radioattivi, è chiaro che l’energia nucleare ne produca quantità maggiori rispetto ad altre tecnologie ed è giusto che essi vengano gestiti dall’industria. Vi è quindi un’intera sezione del report dedicata a questo argomento (parte B): “Valutazione specifica sullo stato attuale e sulle prospettive di gestione e smaltimento a lungo termine dei rifiuti radioattivi”, che discuteremo in seguito poiché rappresenta uno dei principali dubbi sull’energia nucleare.
Tossicità e altri impatti sulla salute: Per valutare gli impatti sulla salute umana durante il normale ciclo vita degli impianti (escludendo quindi gli incidenti) si usa il potenziale di tossicità umana (HTP), il quale stima la produzione di tutte le sostanze che possono avere effetti negativi sull’uomo. Si misura in grammi di 1,4-dichlorobenzene equivalenti per unità di energia prodotta e include metalli pesanti, particolato, SOx e NOx, composti organici volatili (COV) e composti organici clorurati. Dalla figura 3.2-20 (p. A) si può vedere che il gas naturale risulta essere la fonte con l’impatto più basso, seguito dall’energia nucleare e poi dalle altre fonti. Tale variabilità è data, come nel caso delle emissioni, dalle assunzioni fatte sulla tecnologia di arricchimento e sull’eventuale riciclo del plutonio. Gli altri due indicatori utilizzati sono i danni alla salute umana, misurati in Disability-adjusted life year per unità di energia prodotta (mDALY/GWh), e la mortalità, misurata in Years of Life Lost per unità di energia prodotta (mYOLL/GWh). Prendono in considerazione gli impatti del cambiamento climatico, la tossicità umana, le radiazioni ionizzanti, la formazione di ossidanti fotochimici e il particolato.
Dalla figura 3.2-21 (p. A) appare evidente che, in termini di impatti sulla salute umana e sulla mortalità, il nucleare sia in linea con fonti come eolico e solare. Per fare un confronto davvero completo bisogna ovviamente considerare anche il rischio di incidente e le relative conseguenze sul lungo termine (fig. 3.5-1, p. A). Osservando il tasso di mortalità per unità di energia prodotta (deaths/GWh), si possono notare ampie differenze in base alle regioni considerate (OECD e non-OECD) e alla tecnologia. La II generazione occidentale (OECD) di reattori vanta un mortality rate tra i più bassi, in linea con l’idroelettrico (OECD) e l’eolico. Se invece, come riferimento, viene scelta la III generazione (EPR) il rateo scende sotto al solare, rendendo il nucleare la tecnologia con il fatality rate più basso di tutte. Gli autori, inoltre, sottolineano come l’incidente di Chernobyl risulti essere poco rappresentativo per l’industria nucleare occidentale. Sia per quella attuale che per quella di 40 anni fa, visti i difetti di progettazione già conosciuti all’epoca e vista la minore cultura della sicurezza presente in unione sovietica [22].
n.d.a: In ogni caso le migliori stime attuali, come quella fornita dal sito Our World In Data (al 2015) [23] o quella della dottoressa Geraldine Thomas (in totale)(1) [24], vedono i morti totali tra il centinaio e il migliaio(2). Il tutto considerando la gestione tardiva e poco trasparente (l’incidente fu tenuto nascosto per alcuni giorni) da parte dell’Unione sovietica, ritardando ad esempio la distribuzione di pastiglie di iodio di potassio. Per quanto riguarda gli incidenti di Fukushima e di Three Mile Island invece, non sono state documentate conseguenze negative sulla salute che siano direttamente attribuibili all’esposizione alle radiazioni e le attuali stime suggeriscono che è improbabile che i possibili effetti dovuti alle radiazioni saranno mai riconoscibili [25][26].
D’altra parte bisogna tenere conto anche dell’altra metrica presa in considerazione nel report (fig. 3.5-1, p. A), ovvero il numero massimo di morti che un incidente grave potrebbe causare. Visto il basso numero di incidenti nucleari, per determinare le conseguenze peggiori per i reattori occidentali (e per l’idroelettrico) ci si basa sul Probabilistic Safety Assessment (PSA), ovvero uno strumento che permette di quantificare matematicamente il rischio associato a impianti complessi. I risultati mostrano che l’energia nucleare può essere considerata in linea con l’idroelettrico per quanto concerne il numero massimo di morti causabili da un incidente. E’ necessario tenere in considerazione un ulteriore fattore: basarsi sui decessi diretti e indiretti causati dai vari incidenti gravi è certamente uno dei modi più facili e precisi per paragonare tra loro diverse tecnologie, rimane però il fatto che episodi di questo tipo producono anche conseguenze difficilmente misurabili e confrontabili.
n.d.a: Impatti come quello sulla salute mentale risultano essere difficilmente comparabili tra incidenti di diverso genere e sono particolarmente influenzati dalla percezione che la popolazione ha di fattori di rischio differenti. Si può menzionare ad esempio il caso delle radiazioni, sulle quali si possono osservare differenze molto ampie tra la percezione del rischio degli esperti e della popolazione generale [27]. Questa differenza rappresenta quella è che di fatto una fobia, non esente da conseguenze negative: esistono infatti impatti diretti (sulla salute mentale delle popolazioni spaventate) [28][29] e indiretti (evacuazioni dannose [29][30][31], alti costi derivanti da standard di sicurezza esageratamente conservativi [31] e un contesto sociale che ha sfavorito la costruzione di impianti nucleari a favore di altre fonti meno sicure e sostenibili [32][33]) causati da questa percezione.
I ricercatori del JRC invitano infine a leggere questi dati contestualizzandoli correttamente, ovvero nel mondo reale. Tutti noi infatti, tendiamo ad attribuire maggiore importanza a un gran numero di decessi dovuti a un singolo incidente con bassissima probabilità rispetto alla medesima cifra distribuita invece su un numero maggiore di incidenti più frequenti. Per aiutare a mettere questi numeri in prospettiva, può essere utile confrontarli con i dati sulla mortalità associati ad altre attività umane. Rispetto a un numero massimo di vittime pari a circa 30.000 persone, associato a un ipotetico incidente nucleare(3) (considerando un reattore di gen III) con una frequenza pari a circa 1 su dieci miliardi di anni di funzionamento del reattore (1/10e9), ogni anno si verificano:
400.000 morti premature all’anno causate dall’inquinamento atmosferico, dovuto in parte significativa ai combustibili fossili (in UE). n.d.a: Di queste 400.000 circa 800 all’anno sono causate dal solo phase out nucleare tedesco (considerando gli 11 reattori spenti tra il 2010 e il 2019 su 17 attivi al 2010) [34].
480.000 morti premature dovute al fumo, di cui più di 40.000 a causa del fumo passivo (negli USA).
22.800 morti per incidenti stradali nel 2019 (in UE).
In conclusione, per quanto riguarda l’esposizione del pubblico in caso di incidente, considerate le conseguenze massime, i tassi di mortalità delle centrali nucleari occidentali di gen II risultano paragonabili all’energia idroelettrica (nei paesi OECD) e all’energia eolica. Considerando invece gli attuali reattori di III generazione, i tassi di mortalità sono i più bassi tra tutte le tecnologie di generazione di elettricità.
Parte B:
Gestione dei rifiuti radioattivi a lungo termine: Visti i dubbi sulla sicurezza generati dalla lunga durata della radiotossicità di una parte dei prodotti di scarto del ciclo del combustibile, gli autori hanno deciso di dedicare un’intera parte del report (parte B) all’analisi dell’attuale stato dell’arte dei metodi di gestione dei rifiuti nucleari. Ne diamo quindi un riassunto riportando i punti più importanti e le principali conclusioni.
L’agenzia internazionale per l’energia atomica suddivide i rifiuti radioattivi in 6 diverse categorie:
Exempt waste: presentano concentrazioni di radionuclidi sufficientemente piccole da non richiedere disposizioni per la radioprotezione. Tali materiali non necessitano di controllo normativo e non richiedono alcuna ulteriore considerazione.
Very short-lived waste: contengono solo radionuclidi con emivita molto breve, tali rifiuti possono quindi essere immagazzinati fino a quando l’attività non è scesa al di sotto dei livelli di autorizzazione, consentendo di gestire i rifiuti eliminati come rifiuti convenzionali.
Very Low Level Waste (VLLW): non necessitano di un elevato livello di contenimento e, pertanto, sono adatti per lo smaltimento in strutture vicine alla superficie, tipo discariche con controllo normativo limitato.
Low Level Waste (LLW): sono al di sopra dei livelli minimi, ma con quantità limitate di radionuclidi a vita lunga. Richiedono un robusto isolamento e contenimento per periodi fino a poche centinaia di anni e sono adatti per lo smaltimento in strutture vicino alla superficie.
Intermediate Level Waste (ILW): a causa del loro contenuto, in particolare di radionuclidi a lunga emivita, richiedono un livello maggiore di contenimento e isolamento rispetto a quello fornito dallo smaltimento in superficie. I rifiuti di questa classe necessitano quindi di smaltimento a profondità maggiori, dell’ordine delle decine fino a qualche centinaio di metri.
High Level Waste (HLW): rifiuti con livelli di attività sufficientemente elevati da generare quantità significative di calore o rifiuti con grandi quantità di radionuclidi a lunga vita che devono essere presi in considerazione nella progettazione di un impianto di smaltimento definitivo. L’utilizzo di formazioni geologiche profonde e stabili, solitamente a diverse centinaia di metri sotto la superficie, è l’opzione ampiamente accettata per lo smaltimento dei rifiuti ad alta attività. Sono composti prevalentemente da combustibile esausto proveniente dalle centrali nucleari, ma derivano anche dal settore militare e medico.
I rifiuti radioattivi vengono quindi raccolti e analizzati per determinarne le proprietà fisiche, chimiche e radiologiche, per poi esser selezionati e isolati a seconda del percorso di gestione che dipende anche dalla strategia nazionale.
Lo stoccaggio (temporaneo per definizione) garantisce la sicurezza dei rifiuti radioattivi fino all’avvio dell’impianto di smaltimento (definitivo p.d.) ed è un passaggio necessario per consentire il decadimento dei radionuclidi a vita breve e per accumulare una quantità sufficiente di rifiuti per lo smaltimento. Infatti, tra i motivi per cui molte nazioni hanno atteso a lungo per iniziare a costruire il proprio deposito geologico c’è anche la quantità molto ridotta di rifiuti di alto livello prodotti.
n.d.a: A riguardo, la Nuclear Energy Agency, in un report specifico sul tema spiega che “l’esperienza pluridecennale di stoccaggio in sicurezza del combustibile nucleare esaurito ha fornito il tempo necessario ai programmi dei depositi geologici di profondità per procedere con ritmo controllato, guidati dalle informazioni scientifiche e senza la necessità di affrettarne lo smaltimento” [35]. Perciò, l’approccio cauto adottato a livello globale per definire i siti di smaltimento, non comporta e non ha comportato rischi per le popolazioni per quanto riguarda gli HLW generati nei decenni passati.
La sicurezza dei rifiuti radioattivi e del combustibile esausto, durante lo stoccaggio, è garantita da adeguate caratteristiche di sicurezza passiva (contenimento, schermatura, ecc.), ma anche dal monitoraggio e dal controllo attivi da parte degli operatori degli impianti. Lo smaltimento finale del combustibile esaurito e degli altri HLW prevede invece la collocazione in un sistema multi-barriera (ingegnerizzato e naturale), a sua volta in una formazione geologica stabile a diverse centinaia di metri sotto il livello del suolo. Ciò viene fatto principalmente per isolare il più possibile i radionuclidi dalla biosfera che per schermare le radiazioni ionizzanti (per questo bastano già i canister in rame).
Per quanto riguarda i rifiuti altamente radioattivi, esiste un ampio consenso tra gli esperti del settore sul fatto che lo smaltimento finale in depositi geologici profondi sia la soluzione più efficace e più sicura, in grado di garantire che non venga causato alcun danno significativo alla vita umana e all’ambiente per i periodi di tempo necessari. E’ importante sapere che la configurazione specifica del deposito dipende anche dal contenuto di radioattività dei rifiuti e dalla politica nazionale. Infatti, alcuni paesi come la Francia hanno stabilito che il deposito geologico debba essere reversibile, per sfruttare in futuro l’elevato potenziale energetico contenuto nel combustibile esausto (con i reattori di IV generazione) e diminuirne la pericolosità, altri, come la Svezia, hanno dimostrato la reversibilità ma senza determinare alcun obbligo. Le simulazioni dimostrano che, anche nei worst case scenario, la dose assorbita dalla popolazione risulterebbe essere diversi ordini di grandezza minore della dose annua assunta da una persona media.
L’implementazione di un deposito geologico profondo per garantire che i rifiuti radioattivi non danneggino il pubblico e l’ambiente è quindi un processo graduale, che comprende una combinazione di soluzioni tecniche e un forte quadro amministrativo, legale e normativo. Ogni passo viene intrapreso sulla base di un processo decisionale documentato, in cui vengono incorporati lo stato dell’arte tecnico e scientifico, l’esperienza operativa, gli aspetti sociali e gli aggiornamenti del quadro giuridico e normativo. La conformità deve essere assicurata e dimostrata per tutte le fasi soggette a monitoraggio attivo da parte degli operatori e anche per la durata molto lunga associata allo smaltimento finale dei rifiuti ad alta attività e del combustibile esaurito (fase di post-chiusura). Questo approccio consente un processo decisionale flessibile che consente di scegliere tra diverse opzioni per il futuro.
Conclusioni:
La conclusione degli autori è chiara: tutti gli impatti potenzialmente dannosi per la salute umana e per l’ambiente, delle varie fasi del ciclo di vita dell’energia nucleare, possono essere debitamente prevenuti o evitati. La produzione di elettricità basata sull’energia nucleare e le attività associate all’intero ciclo del combustibile nucleare (estrazione dell’uranio, fabbricazione del combustibile, ecc.) non rappresentano un danno significativo per l’uomo e l’ambiente, a condizione che tutte le attività coinvolte soddisfino i criteri della tassonomia.
Commenti aggiuntivi: Spesso sembra che una qualsiasi difficoltà riguardante l’energia nucleare (p.e. i rifiuti radioattivi) sia sufficiente per stabilire che tale tecnologia non debba essere utilizzata per quella singola motivazione, senza neanche dare spazio alle strategie, ormai assodate, adottate per risolvere tale problematica. Contestualizzare gli impatti ambientali, confrontandoli a quelli di altre tecnologie, è necessario per prendere decisioni razionali basate sull’evidenza e purtroppo risulta essere un’operazione raramente svolta per questa fonte energetica. Il report JRC, così come quello UNECE (menzionato nel nostro articolo gemello), svolgono questo lavoro, dando un’idea esaustiva delle esternalità positive e negative dell’energia nucleare rispetto alle altre fonti. Dobbiamo anche sottolineare che sono stati pubblicati alcuni report che evidenziano diverse lacune presenti nella pubblicazione del JRC [36], anche da enti scientifici attendibili come l’Ufficio federale per la sicurezza della gestione dei rifiuti nucleari assieme all’Ufficio federale per la radioprotezione tedeschi [37]. In questo caso gli esperti concludono che, viste determinate mancanze del report JRC, soprattutto per quanto riguarda la questione dei rifiuti radioattivi, l’energia nucleare in realtà non rispetti il criterio di DNSH. La problematica che però ci appare evidente è l’utilizzo di uno standard differente rispetto ad altre tecnologie unito alla mancanza di un confronto generale tra costi e benefici. Per ogni tecnologia si possono individuare dei pro e dei contro significativi che, in base a differenze di percezione e conoscenze, possono essere determinanti per stabilire se essa soddisfi il criterio di DNSH o no. Fonti variabili come eolico e solare, per esempio, comportano grandi difficoltà per la sicurezza e la stabilità della rete elettrica, soprattutto se vi si unisce l’eliminazione di fonti dispacciabili come il nucleare o il gas [38][39]. Si potrebbe anche analizzare più approfonditamente, rispetto a quanto è richiesto dalla tassonomia [40], la questione degli impatti ambientali e sociali, dovuti soprattutto alle fasi di estrazione e lavorazione, dei materiali necessari alle tecnologie utilizzate nella transizione energetica. Tali passaggi infatti, presentano alcune criticità a causa dell’instabilità e della poca trasparenza che caratterizzano le regioni dove avvengono [41][42][43][44]. Da questo punto di vista si è, giustamente, accettata la necessità di tali risorse in quanto parte della soluzione per quello che rappresenta il rischio maggiore: il cambiamento climatico. E’ però importante non dimenticare anche le conseguenze di questa trasformazione, come ad esempio la necessità di dover riprogettare la rete elettrica, con conseguenti rischi derivanti dal rapido cambio di paradigma (p.e. [45]) e dall’attuale mancanza, per alcuni aspetti (frequenza della rete, inerzia, storage…), di soluzioni comprovate realizzabili su larga scala [46][47][48]. Alla luce di quanto esposto è determinante chiedersi se i rifiuti ad alta attività, insieme a tutti gli altri “problemi” che vengono attribuiti all’energia nucleare, rappresentino un rischio maggiore rispetto a quello di fallire l’obiettivo di decarbonizzare la produzione di energia, con le conseguenti esternalità negative legate all’utilizzo di combustibili fossili (sia per quanto riguarda l’inquinamento che per quanto riguarda il riscaldamento globale). Considerando la grandezza della sfida che ci si pone davanti, i rischi associati a potenziali ritardi [49] e/o fallimenti, l’incertezza legata alle previsioni su certe tecnologie e la fragilità a piccole perturbazioni di modelli e previsioni troppo rigidi ed impegnativi, escludere a priori la tecnologia nucleare diventa una scelta definibile quantomeno come molto rischiosa. Invitiamo quindi a tentare, ogni qual volta si parli di nucleare e dei suoi rischi, di mantenere un’ottica ad ampio spettro, valutando sempre quali potrebbero essere le alternative concrete al suo mancato utilizzo e i relativi rischi.
“They can’t have it both ways. If they say this [Climate Change] is apocalyptic or it’s an unacceptable risk, and then they turn around and rule out one of the most obvious ways of avoiding it [Nuclear Power], they’re not only inconsistent, they’re insincere.”
Partendo da 20.000 casi di tumore alla tiroide nel periodo 1991-2015 si ottiene un minimo di 1400, un valore probabile di 5000 e un massimo di 10.000 casi attribuibili alle radiazioni (incertezza del 7%-50% con valore probabile del 25%) [50]. Su questi circa il 99% sopravvive [51] ottenendo quindi un range tra 14 e 100 (valore probabile di 50) morti dovuti direttamente alle radiazioni. Aggiungendo al valore massimo (100) i 31 lavoratori deceduti (3 subito dopo l’incidente e 28 in seguito all’avvelenamento acuto da radiazioni [52]) si ottiene una stima di 131 decessi totali al 2015.
Trattasi di un ipotetico worst case scenario per un EPR, con totale bypass dell’edificio di contenimento e importante perdita di radioisotopi. Per maggiori informazioni [53].
WiN Italy, una branca di WiN Global, è un’associazione nata nel 2023 per far conoscere il mondo del nucleare e della radiattività, dando spazio a figure femminili del settore in ambito scientifico e lavorativo.
Siamo davvero felici per la nascita di questa nuova e frizzante realtà, che annovera tra le sue fondatrici anche alcune socie di Nucleare e Ragione e con cui stiamo già portando avanti importanti collaborazioni!
Win Italy si presenterà ufficialmente domani, 21 marzo, presso l’Aula Osvaldo De Donato del Politecnico di Milano. Per partecipare dal vivo è necessario registrarsi. In alternativa, potrete seguire la trasmissione in diretta sulla nostra pagina Facebook, sul nostro canale Youtube oppure su quello di Win Italy.
–AGGIORNAMENTO 17/12/2023: pubblichiamo in coda all’articolo il link alle slide e alcune foto dell’evento —
Lunedì 11 marzo alle ore 19:00, in Via Freguglia 2 a Milano, il nostro socio Riccardo Mariscalco sarà protagonista di un incontro a Milano, organizzato dal gruppo di Azione del Municipio 9, in cui si discuterà l’approfondimento sullo stato di avanzamento delle energie rinnovabili, le sfide che deve affrontare la nostra rete elettrica nazionale, il nucleare e gli obiettivi climatici europei.
Supportati da una presentazione di fondo basata su dati aggiornati e fonti trasparenti, avremo l’occasione di un confronto interattivo con gli esperti del settore che, a valle della presentazione, potranno rispondere alle nostre domande.
Non sarà un evento statico, ma dinamico, impostato sull’interazione immediata fra relatore e partecipanti. Consigliamo quindi vivamente la partecipazione in presenza!
Sono disponibili le slide della conferenza a questo link.
Per la serie “i borghi radioattivi d’Italia” oggi andiamo a Sorano, uno di quei posti da vedere almeno una volta nella vita e dove vale sempre la pena tornare.
Sorano è un piccolo comune in provincia di Grosseto che conta appena 3000 abitanti. Il suo capoluogo è stato costruito su una rupe di tufo [1], con un impatto scenografico che non lascia certo indifferenti, così come l’atmosfera che si respira camminando per le vie e i vicoli del centro storico, tra chiese, chiesette, palazzi piccoli e grandi, ristoranti che servono prodotti tipici, aria buona e….radiazioni ionizzanti.
Vista del borgo di Sorano dal Masso Leopoldino. Il posto merita una visita in tutte le stagioni.
Sì, perché Sorano è un posto decisamente più radioattivo della media: nelle due ore e dieci minuti che ho passato nel centro storico, il mio dosimetro ha accumulato una dose da radiazione gamma di 0.65 μSv, con una media di 0.30 μSv/h e picchi oltre gli 0.50 μSv/h (frutto anche di fluttuazioni casuali).
Un numero non significa molto senza un termine di paragone. Come facciamo a capire se è tanto o poco? Iniziamo dal grafico qui sotto, che rappresenta la dose media oraria registrata dal mio dosimetro nel corso della giornata, dalle 10 del mattino, poco prima che partissi da casa, fino alle 18 circa, quando sono rientrato alla base.
Prima di partire, il mio fondo ambientale si aggirava sugli 0.05 μSv/h, durante il viaggio la media varia tra 0.06 e 0.10 μSv/h e, una volta all’interno del centro di Sorano, sale fino a 0.35 μSv/h, per poi tornare ai valori iniziali sulla via di casa. Non abbiamo ancora risposto alla domanda, ma il primo dato è che a Sorano ho preso una dose di radiazioni gamma circa sei volte maggiore di quella che avrei preso standomene a casa, dove il fondo ambientale è simile a quello medio italiano [2]. Sono valori superiori anche a quelli che ho misurato, in media, a Fukushima, dove in più di sette ore, inclusa una prolungata permanenza nella No-Go Zone, il dosimetro ha accumulato 1.60 μSv, con una media di 0.22 μSv/h [3].
Nelle due ore e dieci minuti di permanenza all’interno del centro storico, tra le 12:49 e le 14:59, il dosimetro Tracerco PED+ ha accumulato una dose da radiazione gamma di 0.65 μSv, con un rateo medio di 0.30 μSv/h.
Perché Sorano è così più radioattiva della media? Qualche supercattivo ha contaminato il sottosuolo con depositi nascosti di scorie radioattive? No, semplicemente Sorano, come la vicina Pitigliano, è costruita con il tufo sul tufo. E dove c’è tufo ci sono l’Uranio 238 e il Torio 232 con le loro progenie [4], oltre al Potassio 40, radioisotopi presenti ovunque in natura, ma di più in alcuni tipi di rocce, come appunto il tufo. Lo spettro gamma di alcuni pezzi di tufo nella quarta immagine mostra tutti i picchi di radiazione gamma tipici della radioattività naturale, inclusi due picchi di Uranio 235, lo stesso che, in concentrazioni molto superiori, in quello che si chiama Uranio arricchito [5], diventa l’ingrediente basilare del “combustibile” dei reattori nucleari e, in caso di alto arricchimento, perfino delle bombe atomiche [6].
Non abbiamo però ancora risposto alla domanda: la radioattività che misuriamo a Sorano è tanta o poca? E per essere ancora più diretti: questa radioattività sopra la media rende Sorano un posto pericoloso? Il vero potenziale pericolo in un ambiente simile può essere l’accumulo di Radon 222 (anch’esso parte della catena di decadimento dell’Uranio 238 [7]) in ambienti poco ventilati, come ad esempio i piani interrati [8][9]. Il Radon non è direttamente visibile in uno spettro gamma, perché emette quasi solo radiazione alfa, ma lo sono suo “padre”, Il Radio 226, e alcuni dei suoi “figli”, il Bismuto 214 e il Piombo 214, quindi sappiamo che lì in mezzo c’è anche lui.
Spettro gamma di alcuni campioni di tufo, non provenienti da Sorano. Sono visibili tutti i picchi tipici della radioattività naturale. La misura ha richiesto la sottrazione dell’ambiente. Non è stato usato alcuno scudo.
Parlando però del fondo ambientale, è la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità a dirci che esistono località abitate con livelli anche dieci volte più elevati di Sorano che non costituiscono un rischio per la salute di chi ci vive in pianta stabile [10], figuriamoci per quella dei turisti occasionali.
Quindi come al solito: le radiazioni ionizzanti possono uccidere, ma dipende dalla dose assorbita. Il fatto che un oggetto o un luogo siano radioattivi, anche diverse volte sopra le media, non basta a renderli pericolosi, né tantomeno letali.
Certo che se Sorano, invece che un borgo turistico, fosse una centrale per la produzione di energia elettrica, è facile pensare che qualcuno in Italia l’avrebbe già fatta chiudere, magari per costruirci sopra una bella centrale a gas.
Aggiornamento 9/9/2025: abbiamo pubblicato sul nostro canale Instagram alcuni quiz sulle tematiche trattate da questo articolo. Trovate i quesiti e le relative risposte scorrendo fino in fondo alla pagina. Se siete interessati alle puntate precedenti dei nostri quiz, potete leggere gli articoli correlati qui, qui, qui, qui, qui e qui.
La batteria è costruita come un “sandwich” multistrato dove si alternano strati sottili di Nichel-63 metallico che funge da sorgente di energia e strati di un cristallo semiconduttore che svolge la funzione di convertitore di energia. Il Nichel-63 decade emettendo energia sotto forma di particelle beta (da cui il nome Betavolt) e il cristallo assorbe parte di questa energia convertendola in impulsi elettrici. Questa struttura è quindi racchiusa in un involucro protettivo con dimensioni di circa 1,5 cm x 1,5 cm e spessore mezzo centimetro (più piccola di una moneta da 1 euro per intenderci).
Fonte: Betavolt
Fonte: Betavolt
Il notevole vantaggio potenziale di questo tipo di batterie è sicuramente la vita utile: l’azienda costruttrice stima un utilizzo efficiente del sistema di alimentazione per almeno 50 anni. Un altro vantaggio da sottolineare per questi dispositivi è la tolleranza termica, possono infatti garantire il corretto funzionamento in un ampio intervallo di temperature, da diverse decine di gradi sotto lo zero fino ad un centinaio di gradi sopra lo zero.
La stessa azienda cinese sta pianificando la ricerca per l’utilizzo di altri elementi radioattivi come lo Stronzio-90. Altri tipi di batterie a radioisotopi si basano sulla fabbricazione di materiali simili a diamanti ai quali viene aggiunto del Carbonio-14, anch’esso radioattivo, in modo da avere in un unico componente sia la sorgente di energia che il convertitore.
Ad oggi dispositivi che sfruttano l’energia prodotta da decadimenti radioattivi esistono nella forma dei Generatori Termoelettrici a Radioisotopi (in inglese RTG). Questi, a differenza delle batterie a radioisotopi, sfruttano il calore derivante dal processo di decadimento di elementi radioattivi come il Plutonio convertendolo in energia elettrica: vengono impiegati prevalentemente su sonde per l’esplorazione spaziale.
Perché il Nichel-63?
Dal punto di vista fisico queste batterie sfruttano il decadimento radioattivo del Nichel-63 che è un radioisotopo del Nichel, che in natura si trova in prevalenza come Nichel-58 stabile. Sotto è riportata la tabella con tutti gli isotopi noti del Nichel (fonte Wikipedia).
Il Nichel-63 è instabile a causa di un eccesso di neutroni: per raggiungere la stabilità va incontro al decadimento beta- (β-), processo fisico nel quale un neutrone del nucleo si converte in un protone liberando un elettrone, la particella beta- per l’appunto. Nel processo viene anche liberata un’altra particella chiamata antineutrino, ma che ai fini di questa spiegazione non interessa, per cui verrà tralasciata.
Nella figura sotto sono mostrati due modi diversi di rappresentare un decadimento radioattivo: quello di destra, usato in fisica, prende il nome di schema di decadimento e fornisce informazioni molto utili per capire la “natura” del radioisotopo. Partendo dall’alto troviamo il Nichel-63 (Ni-63) e tra parentesi la sua emivita ovvero il tempo trascorso il quale si ha il decadimento di metà dei nuclei radioattivi. Per il Ni-63 quindi, mediamente, dopo 100 anni si ottiene metà della quantità iniziale di radioisotopo. Seguendo la freccia rossa si arriva al “figlio” del Ni-63, il Rame-63 (Cu-63) che risulta stabile per cui non si hanno ulteriori decadimenti radioattivi. La freccia riporta la dicitura del tipo di decadimento (β-) e la probabilità di avere quello specifico decadimento: per il Ni-63 si ha solo decadimento β- (100%). Il numero 67 keV rappresenta l’energia massima che possiede la particella β- (l’elettrone) quando viene emessa: questa ci dà un’indicazione della capacità di penetrazione delle particelle nei materiali.
Se si parla di decadimenti radioattivi si deve sicuramente fare riferimento all’attività del radioisotopo di partenza (che per le batterie si può associare ad una “potenza”). L’attività o radioattività si misura in Becquerel (Bq) ovvero il numero di decadimenti che si hanno in un secondo. Un’altra unità di misura che spesso si trova associata al Bq è il Curie (Ci): 1 Ci corrisponde a 37 miliardi di decadimenti al secondo (per comodità 37 GBq). Avrete capito che queste unità di misura sono omaggio ai pionieri degli studi sulla radioattività Henri Becquerel e Marie Curie.
Quali sono i vantaggi?
Da un punto di vista pratico cerchiamo dunque di riassumere i potenziali vantaggi di una batteria a Ni-63.
Durata: il Ni-63 dimezza in 100 anni per cui è in grado di mantenere pressochè inalterata la produzione di energia per un intervallo di tempo lungo, considerando la vita utile dichiarata dal costruttore, dopo 50 anni si avrebbe circa il 71% dell’attività iniziale;
Tolleranza termica: il decadimento radioattivo del Ni-63 non risulta influenzato dalla temperatura esterna, si tratta infatti di un processo fisico che avviene a livello nucleare. La produzione di energia, quindi, non risente degli sbalzi di temperatura, semmai è il processo di conversione dell’energia in corrente a risentirne;
Nessun “rifiuto” radioattivo: abbiamo visto che il Ni-63 decade in Rame-63 che risulta stabile, per cui non si ha la produzione di ulteriori elementi radioattivi.
Questo tipo di tecnologia rappresenta un rischio?
Le particelle beta emesse dal Ni-63 sono radiazioni ionizzanti, ovvero la loro interazione con la materia comporta una deposizione di energia con ionizzazione degli atomi presenti. Se da un lato questo fenomeno fisico è sfruttato per raccogliere e convertire l’energia prodotta dal Ni-63 dall’altro potrebbe rappresentare un rischio potenziale per l’utilizzatore. Ma procediamo per gradi.
Intanto partiamo con il dire che le particelle beta sono radiazioni ionizzanti debolmente penetranti; quindi, a differenza di radiazione X o gamma vengono facilmente assorbiti nella materia e pertanto risultano facilmente schermabili. Un altro aspetto che va tenuto in conto è l’energia che questi elettroni hanno quando vengono emessi: maggiore è questa energia e maggiore sarà la loro capacità di penetrare nei materiali. Questa caratteristica è ben rappresentata nel grafico sotto, dove si riporta il cammino (o Range) che gli elettroni riescono a percorrere in aria in funzione della loro energia. Come si legge il grafico? Si procede come indicato dalle frecce, si parte dall’energia degli elettroni sull’asse orizzontale per arrivare al valore corrispondente di cammino fatto sull’asse verticale. Il Range non è però espresso come lunghezza in centimetri o metri: per ottenere una lunghezza basta dividere per la densità del materiale, in questo caso l’aria (densità 0,0012 g/cm3). Facciamo qualche esempio: prendiamo elettroni di energia 1 MeV, ovvero 1000 keV, proiettiamo il valore sull’asse verticale e troveremo circa 1 g/cm2, dividiamo quindi per la densità dell’aria e otteniamo circa 830 centimetri, ovvero 8,3 metri. Se prendiamo invece l’energia massima degli elettroni emessi dal Ni-63, pari a circa 70 keV e ripetiamo l’operazione, arriviamo a 0,01 g/cm2, che diviso per la densità dell’aria porta a 8,3 cm e quindi 100 volte in meno rispetto al percorso degli elettroni da 1000 keV.
Consideriamo ora il materiale di cui è fatta la copertura della batteria contenente Ni-63. Trascurando tutti gli strati interni che assorbono gli elettroni emessi, ipotizziamo che sia soltanto alluminio. Prendiamo il grafico per l’alluminio, che ha densità di 2,7 g/cm3 e ripetiamo la procedura vista con l’aria. Il valore che si ottiene è paragonabile a quello trovato per l’aria, circa 0,01 g/cm2, ma questa volta dobbiamo dividere per 2,7 g/cm3, ottenendo 0,004 cm ovvero 40 micron (μm). Per confronto lo spessore di un capello umano è circa 100 μm.
E nel caso in cui non avessi il materiale che scherma gli elettroni emessi? Ipotizziamo che si tenga direttamente tra le mani la batteria “nuda” e che il Ni-63 sia in contatto con la nostra pelle. Dalla curva relativa alla pelle, con densità pari a 1,1 g/cm3 (composizione definita dalla International Commission on Radiological Protection), per elettroni emessi da Ni-63 si ottiene 0,008 g/cm2, che diviso per la densità della pelle porta a 0.007 cm, ovvero circa 70 μm. Quindi gli elettroni di energia massima emessi dal Ni-63 potrebbero riuscire a penetrare al massimo a 70 μm di profondità nella nostra pelle. E quindi? La parte superficiale della nostra pelle è costituita da uno strato di cellule morte (strato corneo) di spessore pari a circa 70 μm. Questo significa che, anche se il Ni-63 fosse a diretto contatto con la nostra pelle, gli elettroni emessi non riuscirebbero a penetrare fino agli strati dove si trovano cellule vive e quindi sensibili al danneggiamento da parte della radiazione.
Queste valutazioni, che sono usate in radioprotezione, considerano lo scenario di esposizione esterna. Un altro possibile scenario è quello della contaminazione interna al nostro corpo: nel caso di ingestione di una batteria integra abbiamo visto che la radiazione emessa dal Ni-63 non riuscirebbe a fuoriuscire dalla copertura esterna del dispositivo. Lo scenario peggiore consiste nell’ingestione di una batteria “nuda”, ovvero con il Ni-63 scoperto. La domanda in questo caso è però un’altra: perché una persona dovrebbe intenzionalmente rompere una batteria e ingerirla? Lascio al lettore le dovute considerazioni.
Si può commercializzare un prodotto del genere?
Dal punto di vista normativo, prima di poter immettere sul mercato un dispositivo contenente una sorgente radioattiva, deve essere dimostrata la sua resistenza alle possibili sollecitazioni esterne. Le norme ISO 2919 e ISO 9978 descrivono tutti i test a cui deve essere sottoposto un dispositivo di questo genere prima di poter essere commercializzato. I test prevedono prove di resistenza ad alte temperature per un certo intervallo di tempo, pressioni elevate, cadute, immersioni, vibrazioni e punzonatura. Il test di resistenza a 180 °C è obbligatorio.
E in Italia? Nel nostro Paese prima di poter commercializzare un prodotto contenente materiale radioattivo deve essere rilasciata l’autorizzazione ministeriale che tiene conto del tipo di dispositivo, della radioattività totale contenuta, dei potenziali rischi derivanti dal suo utilizzo e altri ancora.
La risposta è sì. Giusto per tornare al Ni-63 esistono dei macchinari usati nei laboratori di chimica analitica, chiamati gascromatografi, che possono contenere delle piccole sorgenti di Ni-63 sfruttate per l’analisi degli elementi contenuti in matrici gassose. Altri esempi sono i rivelatori di fumo, che possono contenere Americio-241, quadranti e scritte luminescenti contenenti Trizio (H-3), dispositivi per l’analisi dell’aria contenenti Carbonio-14, parafulmini con sorgenti di Radio-226 o Americio-241 (la cui produzione è ormai vietata), e altri ancora.
QUANTE NE SAI?
Abbiamo di recente lanciato sul nostro canale Instagram una serie di quiz a tema nucleare, con cadenza settimanale. Ecco i quesiti proposti l’8 settembre 2025 (in grassetto le risposte corrette):
1) Quale isotopo viene utilizzato? a – Uranio-233 b- Nichel-63 c – Plutonio-239
2) Qual è la vita media stimata di una batteria? a – 5 anni b- 50 anni c -100 anni
3) Le particelle beta emesse non sono pericolose? a – Non penetrano in profondità b – Sono schermate interamente dall’aria c – Non emettono radiazioni