di Claudia Gasparrini

Quanti di voi si sono sentiti dire quando parlate di energia nucleare per combattere il cambiamento climatico: “Usare il nucleare?! Giammai! E le sue scorie ? Dove le mettiamo?! Non c’è una soluzione!” Beh, sappiate che potete benissimo rispondere che i rifiuti radioattivi sono gestiti in maniera sicura da 60 anni e che vengono stoccati in depositi di superficie o geologici/in profondità. Una soluzione considerata permanente si sta sviluppando concretamente in due paesi, vedi i depositi geologici: Onkalo [1] in Finlandia e KBS-3 [2] in Svezia.
Inoltre, potete anche rispondere che le scorie radioattive possono essere riciclate!
Oggi parleremo di come il nucleare di ieri, di oggi e di domani abbia sempre avuto un occhio di riguardo verso la sostenibilità e il riciclo delle sue materie prime: i combustibili nucleari.
Per far funzionare le centrali nucleari più diffuse al mondo, le cosiddette “centrali termiche” serve un combustibile cosiddetto “fissile” che funziona grazie alla presenza di neutroni “lenti”. Un materiale fissile è per definizione un materiale che si può fissionare/scindere grazie alla presenza di neutroni lenti. Le reazioni di fissione che ne conseguono generano calore e energia all’interno dei reattori nucleari. Il materiale fissile più utilizzato ai giorni nostri è sicuramente l’uranio-235 (l’unico isotopo naturale fissionabile termicamente). In natura, però, si trova principalmente un altro tipo di uranio (un suo isotopo), l’uranio-238. La differenza tra uranio-235 e uranio-238 sta nel numero di neutroni presenti in essi: questi due elementi chimici si chiamano per questo isotopi. In natura l’uranio-238 si trova in percentuale del 99.28% in peso, mentre l’uranio-235 è solamente lo 0.72% dell’uranio disponibile (è quindi molto più raro!).
Ebbene sì, la maggior parte delle centrali nucleari operanti al giorno d’oggi nel mondo fanno affidamento principalmente su questo 0.72% di uranio presente sulla terra! I rifiuti radioattivi ad alta attività dalle centrali (le cosiddette “scorie”) a fine vita contengono quindi una grande quantità di combustibile inutilizzato poiché a fine vita questi pellets di combustibile (vedi immagine sotto) sono principalmente costituiti da uranio-238 inutilizzato (>94% in peso), un rimanente uranio-235 non utilizzato (sceso a circa l’1 % dal 3-5% di partenza), plutonio (circa 1%) e prodotti di fissione e attinidi (circa il 5%). Il plutonio e gli attinidi sono elementi radioattivi prodotti all’interno del reattore nucleare, essi hanno una “vita radioattiva” molto lunga (sono i responsabili principali della necessità di tenere incapsulate le scorie radioattive per vite molto lunghe, nell’ordine di centinaia di migliaia di anni).

Sin dagli Anni ’50 con lo sviluppo delle centrali nucleari per la produzione di energia termica e elettrica si pensò a come massimizzare le riserve di uranio (l’uranio si trova in natura come minerale) e sfruttarne al meglio la sua energia. Si ideò una classe di reattori che potesse sfruttare al meglio quell’uranio-238 come nuovo combustibile (ricordiamo l’uranio-238 è il 99.28% di uranio disponibile in natura) e potesse bruciare o riutilizzare quel plutonio e attinidi prodotti durante l’operazione delle centrali termiche. Il primo reattore a produrre elettricità nel mondo lo fece proprio grazie all’utilizzo di questi elementi radioattivi, si chiamava EBR-I: Experimental Breeder Reactor-I [4]. Questo primo esempio di reattore “avanzato”, per come lo definiremmo oggi, fu in grado di accendere 4 lampadine il 20 Dicembre 1951 ed era un reattore veloce, fast, e fertilizzante, breeder, in grado di generare più combustibile di quello che consuma.
I fast breeder reactors (reattori veloci fertilizzanti) sono una categoria di reattori molto particolari in grado di utilizzare come combustibile le cosiddette “scorie” radioattive che contengono per lo più uranio-238 inutilizzato e i prodotti delle reazioni nucleari come il plutonio e altri attinidi.
Quando investiti dai neutroni veloci, l’uranio-238 e il plutonio possono essere fissionati generando calore e energia. L’uranio-238 si trasforma oltretutto in plutonio tramite assorbimento neutronico generando quindi nuovo combustibile fissile che a sua volta genera energia quando investito da neutroni. Oltre alla fissione nei reattori veloci di questi elementi, uranio-238 e plutonio, è possibile bruciare altri elementi che costituiscono le cosiddette scorie radioattive prodotte nei reattori termici. La fissione di queste scorie produce nuova energia e al contempo elimina questa tipologia di rifiuti ad alta radioattività che non dovranno essere più stoccati.La potenza energetica per kg di combustibile che si ottiene nei reattori veloci fertilizzanti è molto più grande di quella ottenuta ad oggi nei reattori termici. Si stima che l’energia prodotta utilizzando i reattori veloci fertilizzanti sia 60 – 100 volte quella fino ad ora ottenuta nei reattori convenzionali proprio per il miglior utilizzo delle materie prime [5]. Grazie all’utilizzo delle scorie radioattive come nuovo combustibile si riesce a minimizzare la quantità di rifiuti radioattivi da stoccare a fine vita e si riduce anche la loro vita radioattiva poiché i neutroni veloci riescono a “rompere” i rifiuti radioattivi a lunga vita. Uno schema del ciclo di vita dei pellets di combustibile nel caso in cui i reattori termici vengano accoppiati ai reattori veloci si trova nella foto sottostante.

Insomma sembrano il reattore perfetto! Ma allora perché non usiamo questi reattori al giorno d’oggi? Ne esiste qualcuno operante?
La prima domanda non ha una risposta immediata..i reattori veloci fertilizzanti non sono appunto una tecnologia recente, i primi furono proprio sviluppati negli Anni ’50 ma hanno avuto ben poco successo rispetto ai loro “cugini” reattori: i cosiddetti reattori “termici” (in questa categoria inseriamo tutte le tipologie di reattori raffreddati ad acqua o gas operanti al giorno d’oggi, ricordiamo che esistono circa 400 reattori di questo tipo nel mondo [6]). Il motivo dello scarso successo di questi reattori veloci ricade sul loro costo di costruzione e operazione (che è maggiore rispetto ai reattori termici), alcune sfide tecnologiche, la presenza di abbondanti risorse di uranio (l’industria non ha la necessità di dover riciclare le sue scorie) e il delicato processo necessario per la preparazione dei combustibili da utilizzare in questi reattori (il cosiddetto reprocessing, o riprocessamento).
La seconda ha una risposta più facile: si ne esistono di già operanti! Uno di essi è già connesso alla rete elettrica ed è il BN-800 in Russia.
Grazie allo sviluppo nel futuro su più larga scala di questa flotta di reattori veloci accoppiati ai reattori termici ad oggi più sviluppati, si potrà sicuramente minimizzare la quantità e la vita di incapsulamento delle scorie radioattive e al contempo massimizzare l’utilizzo dei combustibili nucleari che diventeranno così una risorsa molto abbondante e auto-rigenerante.
Riferimenti
[2] https://www.skb.com/future-projects/the-spent-fuel-repository/our-methodology/
[3] C. Gasparrini, “Oxidation of Zirconium and Uranium Carbides” – PhD Thesis, Department of Materials, Imperial College London, 2018
[4] https://inl.gov/experimental-breeder-reactor-i/
[5] https://www.iaea.org/newscenter/news/fast-reactors-provide-sustainable-nuclear-power-thousands-years
[6] https://pris.iaea.org/pris/home.aspx
Fonti per per reattori e veloci e riprocessamento:
Una opinione su "Il nucleare sostenibile: riciclo dei combustibili"