La centrale di Krško e la cultura della Sicurezza Nucleare

La città di Trieste ha ospitato alcune settimane fa un’importante serie di eventi istituzionali e informativi dedicati al tema della sicurezza nucleare.
Oltre al convegno nazionale dell’Associazione Italiana di Radioprotezione, svoltosi dal 19 al 21 ottobre, il capoluogo giuliano è stato il teatro di un incontro bilaterale tra le Autorità di sicurezza nucleare italiana e slovena (ISPRA e SNSA), che ha visto la partecipazione anche di rappresentanti della Regione Friuli Venezia Giulia, dell’ARPA e della Protezione Civile regionali. A margine di questi appuntamenti di rilievo istituzionale, non sono mancate le iniziative rivolte alla cittadinanza, con convegni, conferenze e una tavola rotonda sullo stato dell’arte della prevenzione e gestione delle emergenze radiologiche e sulle problematiche relative alla comunicazione sulla sicurezza nucleare.

Figura 1: Stefano Laporta (Direttore ISPRA), Sara Vito (Assessore regionale Ambiente ed Energia) e Luca Marchesi (Direttore generale ARPA FVG) al convegno
Figura 1: Stefano Laporta (Direttore ISPRA), Sara Vito (Assessore regionale Ambiente ed Energia) e Luca Marchesi (Direttore generale ARPA FVG) al convegno “La gestione dell’emergenza radiologica a Trieste e in Friuli Venezia Giulia”, nella sede della Regione – Trieste 18/10/2016. Foto ARPA FVG

Nonostante la rilevanza e l’attualità delle tematiche trattate e l’autorevolezza dei rappresentanti istituzionali intervenuti, spiace notare come gli appuntamenti in programma abbiano faticato a ritagliarsi uno spazio sui media nazionali e locali. A destare in noi un certo stupore è stato in particolare il quasi totale silenzio del principale organo di stampa del capoluogo giuliano, “Il Piccolo” (Gruppo Editoriale l’Espresso), che nei giorni precedenti alla manifestazione e per tutta la settimana di svolgimento ha omesso di segnalare gli eventi sopracitati e di fornirne un successivo resoconto. Tutto questo a dispetto dell’interesse spesso manifestato dalla cittadinanza sul tema e dell’attenzione che periodicamente viene dedicata dal medesimo giornale – il più delle volte con toni sproporzionati e allarmistici – alle vicende legate alla vicina centrale nucleare slovena di Krško ed ai rischi radiologici a cui la popolazione dell’intero Friuli Venezia Giulia sarebbe esposta, in caso di un ipotetico quanto improbabile incidente catastrofico (INES 7). Tale scelta editoriale appare ancor più stonata se si considera che pochi giorni addietro la stessa testata giornalistica aveva ospitato sulle sue colonne un ampio resoconto dell’audizione di alcuni ricercatori, presso la Commissione Ambiente del Senato, in merito alla rivalutazione della pericolosità sismica dell’area nella quale sorge l’impianto sloveno.
É evidente che le problematiche relative al rischio sismico e quelle sulla sicurezza radiologica dell’impianto di Krško e dell’area circostante (Trieste inclusa) sono fortemente correlate; parlare quindi estesamente e ripetutamente delle prime ed evitare completamente di fare menzione delle iniziative che discutono delle seconde, non costituisce a nostro avviso un esempio di buon servizio di informazione: la realtà dei fatti viene in questo modo dipinta in modo quantomeno parziale.

Figura 2: Edizione cartacea de “Il Piccolo” del 5 maggio 2016: la notizia dell'estensione ventennale dell'operatività della centrale viene dipinta come un “incubo” che si perpetua, “fra avarie, allarmi e paure”.
Figura 2: Edizione cartacea de “Il Piccolo” del 5 maggio 2016: la notizia dell’estensione ventennale dell’operatività della centrale viene dipinta come un “incubo” che si perpetua, “fra avarie, allarmi e paure”.

Da parte nostra non possiamo che ripetere quanto andiamo dicendo da anni: il nostro Paese ha un enorme bisogno di promuovere una solida cultura della sicurezza. Esiste infatti un evidente divario tra il rischio reale associato alle diverse attività umane, e il corrispondente rischio percepito dalla popolazione. Quest’ultimo viene spesso sovrastimato quando le conoscenze sull’argomento sono deboli (se non nulle), e quando i media – come nel caso dell’energia nucleare – tendono discrezionalmente ad evidenziare specifici aspetti problematici, tralasciando quelle informazioni tecniche che sarebbero utili per inquadrare in maniera più equilibrata la questione, o semplicemente parlano di un argomento solo in occasione di incidenti o per sollevare preoccupazioni.
Di conseguenza, la promozione della cultura della sicurezza può avvenire solo grazie all’accrescimento delle conoscenze scientifiche e tecnologiche dei cittadini, a partire dal sistema scolastico, nonché alla promozione di una informazione giornalistica che sia il più possibile oggettiva, completa e tecnicamente adeguata.
Comprendiamo quanto ciò faccia a pugni con la necessità degli organi di stampa di solleticare la paura della gente e di cavalcare l’onda del sensazionalismo, ma c’è un limite di ragionevolezza che non dovrebbe essere travalicato, ed una responsabilità a cui nessun giornalista dovrebbe sottrarsi.
Non è certo un caso se poi, in occasione di eventi drammatici come le scosse di terremoto che hanno colpito nuovamente il Centro Italia in questi giorni, le teorie più strampalate trovino terreno fertile in ampi strati della popolazione, assieme ad un clima di strisciante sfiducia e di sospetto nei confronti delle istituzioni scientifiche e degli enti preposti al monitoraggio e alla gestione delle emergenze.

Detto questo, è anche vero che siamo ben consapevoli di non avere in tasca tutte le soluzioni, né eventualmente i mezzi per poterle applicare: nel nostro piccolo ci sentiamo piuttosto una goccia nel mare. Questo però non ci scoraggia, ed in ogni frangente portiamo avanti l’impegno che ci siamo presi con chi ci segue: una corretta divulgazione scientifica per stimolare una riflessione indipendente da ideologismi e pregiudizi.

Tornando dunque al tema che dà il titolo a questo nostro articolo, forniamo volentieri qui di seguito una breve ricostruzione di uno degli eventi a cui abbiamo assistito nel corso della settimana triestina dedicata alla sicurezza nucleare: la conferenza intitolata “Radioprotezione in Italia e in Friuli Venezia Giulia: la centrale nucleare di Krško”,  promossa dal Centro Culturale Veritas e svoltasi il 17 ottobre, con la partecipazione del direttore generale dell’ISPRA Stefano Laporta, del direttore dell’ARPA FVG Luca Marchesi e con l’intervento dei tecnici del Centro Regionale per la Radioprotezione dell’ARPA FVG, Concettina Giovani e Massimo Garavaglia.

Figura 3
Figura 3

La conferenza è iniziata con un articolato resoconto sulle attività di monitoraggio della radioattività ambientale, che in Italia vengono condotte sotto il controllo dei Ministeri dell’Ambiente e della Salute, attraverso reti di rilevamento regionali e nazionali [1].

Ad oggi risultano attive sul territorio italiano: la rete di sorveglianza RESORAD, organizzata attraverso le ventuno agenzie regionali e provinciali per la protezione dell’ambiente e altri istituti e laboratori locali, con lo scopo di monitorare la radioattività nell’ambiente e negli alimenti; la rete REMRAD, gestita direttamente dall’ISPRA con compito di pronto allarme, costituita da 7 stazioni automatiche in grado di segnalare, attraverso l’analisi del particolato atmosferico, le possibili contaminazioni conseguenti ad un ipotetico incidente in una installazione nucleare straniera [2]; la rete GAMMA, anch’essa gestita dall’ISPRA, composta da 61 centraline che misurano in maniera automatica la dose gamma in aria, fornendo dati in tempo reale a un sistema centralizzato e integrato alla piattaforma europea di allarme EURDEP.
Di notevole interesse è stata la presentazione delle attività specifiche della rete di monitoraggio regionale, che prevede l’analisi periodica di matrici ambientali (campioni di terreno, muschi, funghi, particolato atmosferico, fall-out) e alimentari (carni, latte e suoi derivati, frutta, verdura, selvaggina, pesci, uova, ecc.), al fine di rilevare e valutare tempestivamente la possibile esposizione degli esseri umani a valori anomali di radioattività per inalazione o ingestione [3]. Nel caso del Friuli Venezia Giulia, tale attività è condotta dal Centro Regionale per la Radioprotezione dell’ARPA FVG, con stazioni di raccolta e controllo del particolato atmosferico e laboratori di analisi dislocati tra Udine e Gorizia.

Figura 4: Vista aerea della centrale nucleare di Krško. La società che gestisce l’impianto, la Nuklearna elektrarna Krško, è una joint venture al 50% tra le società statali slovena Gen-Energija e croata Hrvatska elektroprivreda (HEP), controllate rispettivamente dal Ministero sloveno delle Infrastrutture e dal Ministero croato dell’Economia. La centrale è localizzata ad una distanza in linea d’aria di 77 km da Lubiana e di 41 km da Zagabria.
Figura 4: Vista aerea della centrale nucleare di Krško. La società che gestisce l’impianto, la Nuklearna elektrarna Krško, è una joint venture al 50% tra le società statali slovena Gen-Energija e croata Hrvatska elektroprivreda (HEP), controllate rispettivamente dal Ministero sloveno delle Infrastrutture e dal Ministero croato dell’Economia. La centrale è localizzata ad una distanza in linea d’aria di 77 km da Lubiana e di 41 km da Zagabria.

La seconda parte del convegno è stata dedicata ad una illustrazione dello stato dell’arte relativo ai rischi radiologici associati alla centrale nucleare di Krško. Si tratta come noto di un impianto situato ad una distanza dalla città di Trieste di circa 130 km in linea d’aria, e che noi del Comitato Nucleare e Ragione conosciamo bene avendo allestito, nel corso degli ultimi due anni, ben quattro visite tecniche, con ampio successo in termini di partecipazione e di interesse.
In merito a questo aspetto i tecnici dell’ARPA hanno ampiamente confermato un quadro rassicurante, in cui il rischio radiologico per la popolazione risulta decisamente basso, soprattutto se confrontato con quello – spesso sottovalutato – derivante dall’impiego di radionuclidi in ambito medico o industriale [4].

Pur trattandosi di un impianto in attività da più di 30 anni, la centrale di Krško rispetta ampiamente le normative e gli standard internazionali, ed è stata sottoposta negli anni a continui interventi di manutenzione e aggiornamento, finalizzati ad un miglioramento generale delle prestazioni e dei parametri di sicurezza, anche per quanto riguarda il rischio sismico. Tra le numerose azioni recentemente messe in atto vi è – a titolo di esempio – l’installazione di un nuovo sistema di filtri (Passive Containment Filtering Ventilation System), che in caso di incidente al nocciolo del reattore è capace di trattenere fino al 99% dei radionuclidi eventualmente fuoriusciti. Si tratta di un dispositivo passivo, ovvero che non richiede l’intervento di un operatore ed è in grado di funzionare senza alcun tipo di alimentazione. La centrale di Krško è stata la prima, in Europa, a dotarsi di questo sistema, che fa parte dell’insieme di interventi predisposti nell’ambito del Safety Upgrade Program avviato nel 2012.  É importante sottolineare come l’iter per l’estensione ventennale dell’operatività della centrale (dal 2023 al 2043) è stato autorizzato proprio in virtù di questo piano di miglioramento, che sarà in ogni caso sottoposto a verifica decennale e che vedrà anche l’ISPRA tra i soggetti direttamente informati, in virtù di un accordo bilaterale siglato con la SNSA nel 2010, e che prevede un canale privilegiato di comunicazione tra le istituzioni italiane e slovene.
Merita segnalare a questo proposito come, nell’ambito della cooperazione tra Stati in tema di sicurezza nucleare, nel marzo di quest’anno sia stata condotta un’esercitazione internazionale di emergenza, che ha assunto a riferimento uno scenario di incidente nucleare simulato proprio nella centrale di Krško! L’Italia ha partecipato all’esercitazione con una task force guidata dall’ISPRA.
Nel corso della conferenza non è mancato un approfondimento sulla discussa questione del rischio sismico della centrale. È stato sottolineata in questo contesto l’importanza della revisione di sicurezza straordinaria indetta nel 2011 (i cosiddetti stress test): sebbene gli studi probabilistici sulla pericolosità sismica dell’area, condotti nel 1994 e nel 2004, abbiano fornito delle stime dei valori massimi di accelerazione attesi (PGA, Peak Ground Acceleration) superiori a quelli considerati in fase di progettazione dell’impianto [5], il rapporto ufficiale pubblicato dalla SNSA ha evidenziato come gli spettri di risposta della struttura, calcolati considerando i nuovi valori di PGA, siano risultati in tutto simili a quelli calcolati con i valori originari di progetto. Nello stesso rapporto è stato specificato inoltre che ipotetici danni al nocciolo sarebbero possibili solo al verificarsi di un sisma con accelerazioni al suolo pari a 0.8-0.9 g  – evento caratterizzato da un periodo di ritorno superiore ai 50.000 anni, e che solo delle sollecitazioni significativamente superiori a 1.0 g – quindi con tempi di ritorno ancora maggiori – sarebbero in grado di provocare danni alle strutture ed ai sistemi di contenimento e di mitigazione tali da causare rilasci incontrollati di materiale radioattivo nell’ambiente  con conseguente rischio sanitario [6].

Figura 5: Andamento del parametro probabilistico di frequenza di danneggiamento del nocciolo (Core Damage Frequency) per la centrale nucleare di Krško: si noti come tale valore sia quasi dimezzato a seguito degli interventi di ammodernamento dell'impianto messi in atto negli anni successivi all'incidente del 2011 presso la centrale giapponese di Fukushima [6]. Immagine per gentile concessione di Nuklearna Elektrarna Krško.
Figura 5: Andamento del parametro probabilistico di frequenza di danneggiamento del nocciolo (Core Damage Frequency) per la centrale nucleare di Krško: si noti come tale valore sia quasi dimezzato a seguito degli interventi di ammodernamento dell’impianto messi in atto negli anni successivi all’incidente del 2011 presso la centrale giapponese di Fukushima [6]. Immagine per gentile concessione di Nuklearna Elektrarna Krško.

Il convegno si è concluso con l’intervento del direttore generale dell’ISPRA. Nell’illustrare le attività istituzionali e le finalità del Dipartimento Nucleare, Rischio tecnologico e Industriale dell’ente [7], Stefano Laporta ha ribadito l’importanza di “squarciare il velo dell’ipocrisia” che avvolge in Italia il dibattito pubblico sul nucleare. Non diciamo nulla di nuovo ricordando che l’Italia, nonostante la rinuncia alla produzione sul territorio nazionale di energia elettrica attraverso i processi di fissione, non è mai uscita, né mai uscirà dal nucleare – per quanto questa espressione possa avere un senso. I motivi sono numerosi:  1) il nostro Paese è membro a tutti gli effetti dei principali organismi internazionali che si occupano di sicurezza nucleare e di promozione dell’uso pacifico delle tecnologie nucleari; 2) il nostro Paese ha  stipulato – come già ricordato per il caso specifico della Slovenia – accordi bilaterali di collaborazione e scambio reciproco di informazioni con tutti i Paesi confinanti che ospitano reattori nucleari, dai quali siamo tra l’altro importatori netti di elettricità; 3) anche nel nostro Paese l’impiego di radioisotopi, e più in generale di sorgenti di radiazioni ionizzanti, trovano applicazione in una vastissima gamma di attività in campo medico, industriale e scientifico; 4) diverse imprese italiane sono coinvolte nella costruzione di componenti per reattori in Paesi stranieri, nonché nella realizzazione di progetti internazionali per lo sviluppo della fusione nucleare; 5) il nostro Paese è impegnato nel piano di decommissioning delle vecchie centrali e nel progetto per il Deposito Nazionale per i rifiuti radioattivi, la cui realizzazione rappresenta una grande opportunità in termini di investimenti e di ricaduta economica sul territorio, nonché un impegno di responsabilità, dal quale come Nazione non possiamo in alcun modo sottrarci.

Proprio su quest’ultimo aspetto il direttore dell’ISPRA non ha mancato di sottolineare l’amarezza per le mille difficoltà che si stanno riscontrando nell’iter di approvazione del progetto [8], alimentate dal pregiudizio che una porzione maggioritaria della popolazione nutre nei confronti della tecnologia nucleare, e dalla conseguente incapacità della classe politica di portare a compimento decisioni necessarie e lungimiranti, benché impopolari.

L’errore di fondo è l’assenza di un vero piano di comunicazione scientifica sul tema: di nucleare si discute da anni, ma troppo spesso a singhiozzo e solo nelle situazioni contingenti ed emergenziali, alimentando nel pubblico un atteggiamento di ostilità e diffidenza. “Passata la tempesta”, la questione ritorna nel dimenticatoio, ed ogni sforzo di comunicazione attraverso i media risulta così vanificato, costringendo ogni volta a ricominciare da capo.
L’auspicio di Laporta – che alle nostre orecchie assume il tono di un appello accorato – è quello di un vero e proprio cambio di rotta: di nucleare si deve tornare a parlare con continuità e coraggio, senza paure né ipocrisie. Solo promuovendo in tutti gli ambienti la diffusione del sapere scientifico e la cultura della sicurezza nucleare, l’Italia potrà rompere le catene dettate dal pregiudizio e tornare a scommettere sul suo futuro. É una scommessa rischiosa, ma anche un rischio che è doveroso affrontare.

E noi anche per questo non smetteremo di dare il nostro piccolo ma appassionato contributo.

[14/11/2016, aggiornamento: sono da oggi disponibili, sul sito dell’ARPA FVG, tutti i contributi del convegno “La gestione dell’emergenza radiologica a Trieste ed in Friuli Venezia Giulia”, che si è tenuto il 18 ottobre 2016 presso la Sala di Rappresentanza della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia.]

NOTE:
[1]       La normativa di riferimento è il D.Lgs.230/95, che recepisce la direttiva EURATOM 96/29 e i regolamenti dell’Unione Europea in materia di radioprotezione.

[2]       Le stazioni automatiche della rete REMRAD sono situate in aree dell’Aeronautica Militare, selezionate in base alla loro importanza per il controllo di possibili vie di accesso nel territorio italiano di contaminazione radioattiva conseguente ad un ipotetico incidente catastrofico presso un impianto nucleare straniero. Una delle sette installazioni è ubicata in Friuli Venezia Giulia, nella località di Sgonico (TS).

[3] Per “fall-out” si intende la ricaduta sul terreno più o meno protratta nel tempo del materiale radioattivo polverizzato e disperso in aria a seguito di un’esplosione nucleare (come nel caso dei test nucleari) o chimica (come accaduto nell’incidente alla centrale di Chernobyl). Per maggiori dettagli: https://nucleareeragione.org/risposte-veloci/

[4]       A titolo d’esempio, riportiamo quanto accaduto alcune settimane fa presso la Norrland University Hospital in Umea (Svezia): durante le normali attività di esercizio di un ciclotrone, per la preparazione di radioisotopi a uso medico, la porta del bunker è stata lasciata aperta, esponendo alcuni addetti ad una dose ingiustificata di radiazioni. L’incidente è stato classificato al livello 2 della scala INES.

[5]       All’epoca della progettazione della centrale, e con le informazioni geologiche allora disponibili, la soglia di “spegnimento sicuro” fu individuata in uno scuotimento del suolo pari a 0.3 g. La mappa di pericolosità dell’epoca riportava infatti per l’area di Krško un valore di PGA di circa 0.2 g (valore con probabilità di superamento del 10% in 50 anni), quindi inferiore ai limiti di sicurezza della centrale. Tale valore è stato elevato nel 2004 a 0.56 g, dopo che una prima revisione della stima della pericolosità, fatta dieci anni prima, aveva fissato il valore di 0.42 g. Ricordiamo che l’accelerazione del suolo in caso di terremoto si misura in unità di gravità (g). Per esempio 0.3 g significa un’accelerazione del suolo pari a circa 3.27 m/s², ovvero il 30% dell’accelerazione di gravità.

[6]       Dal punto di vista della sicurezza radiologica, è fondamentale che un impianto nucleare sia concepito in modo da resistere ad un eventuale sisma; tale condizione necessaria non è tuttavia sufficiente. I punti di forza e di debolezza del progetto e del funzionamento di una centrale nucleare debbono essere “scandagliati” attraverso una analisi del tipo Probabilistic Risk Assessment (PRA), sia in fase iniziale sia con ripetute revisioni durante il periodo di operatività. Questo tipo di analisi, riconosciuta formalmente dagli organi di controllo nazionali ed internazionali, suddivide i rischi legati all’operatività di una centrale nucleare in 3 livelli. Il livello 1 della PRA stima la frequenza degli incidenti che causano danni al nocciolo del reattore nucleare. A questo livello, dal punto di vista probabilistico, il parametro più significativo è rappresentato dalla frequenza di danneggiamento del nocciolo (Core Damage Frequency). Nel caso della centrale nucleare di Krško (Figura 5) questo valore è significativamente calato nel corso degli anni, nonostante la rivalutazione di pericolosità sismica, proprio in virtù delle azioni messe in atto dalla centrale in un’ottica di “difesa in profondità” [defense in depth]. Il livello 2 della PRA stima la frequenza degli incidenti gravi dove non si ha solo danneggiamento del nocciolo ma anche rilascio di radionuclidi (più o meno controllato) dalla centrale nucleare. Infine, il livello 3 della PRA stima le conseguenze in termini di danni al pubblico e danni all’ambiente dei rilasci ipotetici di cui al livello precedente. Per ognuno di questi livelli di rischio vengono considerate delle precise catene di eventi (ciascuno con la propria probabilità di accadimento) in grado di produrre danni di entità e tipo diversi, ossia con danneggiamento più o meno esteso e/o grave del reattore, con rilascio controllato o incontrollato nell’ambiente esterno di radionuclidi, con ipotetico danno più o meno probabile e/o esteso per la salute degli esseri umani in particolare e/o della biosfera in generale. Tale suddivisione dell’analisi del rischio rispecchia la struttura della salvaguardia della sicurezza di una centrale nucleare, vale a dire il concetto di difesa in profondità a barriere di protezione successive, che potremmo semplificare con l’immagine di una matrioška. Per tutti questi motivi è dunque importante non confondere il rischio di un ipotetico danno grave al nocciolo, ovvero di una fusione parziale o totale del medesimo, con quello, ben più grave, di un rilascio di grandi quantità di radionuclidi nell’ambiente, né con quello gravissimo di una esposizione della biosfera a livelli di radioattività pericolosi per la salute. Per ulteriori dettagli consigliamo la lettura di una agile spiegazione della PRA fornita dalla Nuclear Regolatory Commission degli Stati Uniti, qui: http://www.nrc.gov/about-nrc/regulatory/risk-informed/pra.html

[7]       La normativa vigente attribuisce al Dipartimento Nucleare, Rischio tecnologico e Industriale dell’ISPRA le funzioni e i compiti di ente regolatore nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione. Tali compiti verranno in futuro trasferiti all’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (ISIN), autorità recentemente istituita attraverso il D.Lgs n. 45/2014 in recepimento della direttiva 011/70/EURATOM.

[8]       Ne avevamo parlato qui e qui, quando la procedura di approvazione del progetto sembrava finalmente aver imboccato il binario giusto. Per farla breve: il 4 giugno 2014 l’ISPRA ha pubblicato la Guida Tecnica contenente i criteri per individuare le aree idonee ad ospitare il Deposito Nazionale; a gennaio 2015 la SOGIN ha consegnato ad  ISPRA la proposta di Carta delle Aree Potenzialmente Idonee (CNAPI); l’ISPRA, nei mesi successivi ha verificato la corretta applicazione dei Criteri da parte di SOGIN; dopo alcune passaggi e richieste di approfondimenti tecnici, la Carta è stata validata e già prima dell’estate 2015 consegnata ai Ministeri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente, per ottenere il nulla osta alla pubblicazione. L’iter si è a questo punto arenato: la SOGIN avrebbe dovuto rapidamente pubblicare  su internet e sui giornali la CNAPI e il progetto preliminare del Deposito, avviando quindi la fase di consultazione pubblica di 4 mesi, che si sarebbe conclusa con un Seminario Nazionale e la pubblicazione, 5 mesi dopo, della Carta Nazionale delle Aree Idonee (CNAI). Nulla di tutto ciò è avvenuto. La CNAPI giace sigillata nei cassetti dei ministeri, dove è probabile che vi rimanga almeno fino all’autunno 2017.

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