La lignite del vicino è sempre più verde

[prima tappa del nostro viaggio nei meandri della transizione energetica tedesca, alla scoperta di cosa si nasconde dietro gli annunci roboanti e lo strombazzamento mediatico che ci raccontano solo la crescita vertiginosa delle fonti di energia rinnovabile]

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Fig. 1      Lo sai che? Jänschwalde, centrale termoelettrica a lignite, esercita dall’utility svedese Vattenfall, si trova in Germania, Brandeburgo, al confine con la Polonia – in primo piano una piccola parte dell’immensa distesa del bacino di approvvigionamento del combustibile.

La Energiewende, la svolta della Germania verso l’utilizzo massiccio di fonti energetiche rinnovabili sembrerebbe una storia di successo. Il Paese si è dedicato “anima e corpo” ad una transizione epocale, e tutti (o quasi) lo additano ad esempio mentre si dirige a grandi passi verso magnifiche sorti energetiche.

A seguito dell’incidente di Fukushima, i passi fatti sono divenuti quelli di un gigante: le fonti rinnovabili sono in piena espansione; tutto d’un colpo sono state pre-pensionate 6 unità di centrali nucleari [1]. Eppure, vale ancora il vecchio proverbio, a proposito di “passi”. Vediamo perché.

Nei 5 anni trascorsi dal panico iniziale post-Fukushima un’altra centrale nucleare ha chiuso i battenti in Germania, anticipando i programmi federali e prendendo in contropiede l’intero sistema elettrico [2]. Il motivo è molto semplice. Se da una parte è vero che ormai l’energia elettrica da fonti rinnovabili rappresenta un terzo di quella consumata in Germania, dall’altra è anche vero che questo successo ha un rovescio della medaglia: il mercato elettrico tedesco è a pezzi.

E questo rovescio non solo sta avendo ripercussioni immediate e verificabili, ma ne avrà senz’altro di altre, al momento difficilmente stimabili, sia all’interno del Paese che su quelli limitrofi.

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Fig. 2      Lo sai che? Grafenrheinfeld, centrale termoelettrica nucleare, esercita dall’utility E.ON, si trova in Germania, Baviera – da giugno 2015 si è staccata dalla rete, 6 mesi prima della data pianificata con il Governo federale, per evitare di pagare la tassa sul combustibile (80 milioni di euro) necessario per completare l’ultimo periodo di funzionamento.

Mentre l’elettricità da fonte eolica e fotovoltaica è immessa nella rete tedesca a prezzi fissi ed in via prioritaria, quella proveniente dalle centrali alimentate da combustibili fossili (ed indirettamente anche quella dalle centrali nucleari) è sottoposta alla “dura” legge del mercato. E sul mercato tedesco le maglie si sono fatte assai strette negli ultimi 5 anni, tanto che oggi come oggi passa solo l’elettricità che vale circa 20 €/MWh – una bella differenza dai 60 €/MWh del 2011.

(Per i meno avvezzi a questo tipo di cifre forse vale la pena ricordare che stiamo parlando del prezzo relativo agli incassi dei produttori, e nello specifico di quelli nel campo non-FER [3]. Il costo per i consumatori tedeschi è ben altra cosa – e non trascureremo di parlarne, prossimamente.)

È dunque posta sotto minaccia l’esistenza stessa degli operatori di impianti convenzionali?

Secondo una ricerca commissionata dal Handelsblatt (quotidiano tedesco di economia e finanza) al Trend Research institute (istituto di ricerca di marketing), le centrali elettriche convenzionali e nucleari sono scese sotto la soglia critica di sottoproduzione, ed il loro utilizzo è destinato a diminuire ulteriormente nel giro di 5 anni. Quest’anno le centrali a gas, a carbone o lignite, e quelle nucleari che sono rimaste allacciate alla rete produrranno grossomodo 435 terawattora di elettricità, mentre sono state progettate e costruite per produrne almeno 521 all’anno (-17%) [4]. Entro il 2020, il divario negativo tra la capacità di generazione e la produzione effettiva è molto probabile che aumenti sino a raggiungere il 23%, un valore economicamente insostenibile.

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Fig. 3      Lo sai che? La Germania, nonostante la transizione energetica in atto, è ancora piena di centrali termoelettriche a carbone (hard coal) e lignite (brown coal), come si può vedere da una delle mappe interattive di carbonbrief.org. Fonte: screenshot dal post “Mapped: How Germany generates its electricity” del 20 settembre 2016, sul quale abbiamo riportato legenda e dati principali.

A tutto questo va aggiunto che gli sforzi della Germania per ottenere energia “più pulita” dipendono in larga misura dal supporto dei suoi vicini, e che sempre di più ne dipenderanno, al crescere dei gigawatt degli impianti FER. Quando la produzione immessa nella rete elettrica da fonte solare o eolica è alta, l’offerta può superare la domanda, costringendo i gestori tedeschi a scaricare il surplus di potenza elettrica nelle reti dei vicini. Quando la medesima produzione è tagliata dalle condizioni atmosferiche o dal semplice alternarsi del giorno e della notte, e non bastano a compensare le centrali termoelettriche tedesche, allora si “aprono le porte” all’elettricità dei vicini. In questo modo, tra back-up e dumping [5] i gestori svizzeri, francesi, olandesi, danesi, svedesi, polacchi, cechi ed austriaci compensano le intermittenze delle mega installazioni FER tedesche esercendo i propri impianti convenzionali e nucleari a livelli non economici.

Uno scenario preoccupante. Davanti al quale tuttavia qualcuno potrebbe anche giustamente obiettare con una semplice domanda: ma non è una buona notizia che i “magnati” dei combustibili fossili se la passino male?

Il problema è che pur attraversando un momento difficile, i fornitori di energia da fonti fossili in Germania occupano ancora un ruolo non solo strategico ma anche preponderante.

Per esempio, come enfatizza lo stesso Bundesministerium für Wirtschaft und Energie (BMWi – Ministero Federale per l’Economia e l’Energia), il carbone continua a svolgere un ruolo fondamentale nel mix energetico tedesco. In particolare, circa il 24% della generazione di energia elettrica viene dalla lignite autoctona, un altro 18% dal carbone fossile. Con il 5% fornito dal gas e qualche altro punto percentuale dal petrolio (passeranno mai di moda i motori diesel?) si arriva quasi a coprire la metà della produzione. L’altra metà è low carbon.

Peccato per le centrali nucleari già “chiuse”: con il loro semplice contributo, il paniere elettrico tedesco sarebbe già ora molto più conforme agli obiettivi iniziali della Energiewende [6].

Ci sono inoltre alcuni aspetti particolarmente interessanti nelle dinamiche che caratterizzano oggi ed andranno a delineare nei prossimi anni i confini della parte di torta “high carbon”. Con i “prezzi del carbonio” [carbon price] UE ETS bassi e con i prezzi del carbone fossile altrettanto bassi, carbone e lignite sono più vantaggiosi del gas per la produzione di energia elettrica. E così la Germania è incentivata a dare fondo alle proprie ingenti riserve di lignite, nonostante le emissioni di CO₂ più elevate legate all’utilizzo di tale fonte. Con buona pace del “Piano di Azione per il Clima” con il quale i tedeschi si erano impegnati a porre fine all’uso del carbone ben prima del 2050 –  come ci ricorda prontamente la World Nuclear Association, che segue passo passo le vicende della Energiewende, quasi tenendole il fiato sul collo. E non crediamo sia un caso che questo obiettivo sia stato abbandonato ufficialmente lo scorso settembre, senza fornire nuovi piani per eliminare dal carico di base (baseload) della produzione elettrica la componente lignite [7].

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Fig. 4      Centrali termoelettriche a lignite ancora operative in Germania, suddivise per età, “taglia” ed operatore. Totale: 61 unità in funzione, 20,8 GW di capacità netta di generazione. Fonte: Arthur D. Little, 2015

Riteniamo inoltre che King Coal, tolto qualche acciacco, non se la passi poi così male in Germania.

Un recente studio della Arthur D. Little [8] sembra in sintonia con il nostro sentiment. Nelle loro conclusioni Matthias von Bechtolsheim e Michael Kruse fanno alcune osservazioni importanti, riassumibili così: prima delle prossime elezioni (2017) non ci saranno azioni politiche anti-lignite e/o anti-carbone, e le difficoltà di attuazione del “Piano di Azione per il Clima” (legate anche ad alcune azioni legali, potenziali o già in corso) si potrebbero risolvere in un facile compromesso che permetta al Governo di raggiungere l’obiettivo principale in vista delle elezioni, vale a dire limitare nel breve periodo l’onere dei costi della Energiewende sulle imprese e sui consumatori.

E la lignite è molto economica, più del gas, come abbiamo già detto [9]; sembrerebbe quindi in grado di resistere ancora un po’ alla sfida con le super-incentivate FER; inoltre non può essere ulteriormente “tartassata”, se non attraverso un inasprimento del carbon emission scheme da stabilirsi a livello europeo.

Gli autori dello studio sul futuro della lignite fanno notare anche un altro aspetto politico della situazione energetica tedesca, che è a dir poco interessante. L’eliminazione dell’utilizzo del carbone e della lignite è una delle ragioni d’esistere del partito dei Verdi in Germania (dopo la lotta senza quartiere all’energia nucleare, ovvio!), e tale partito potrebbe avere un ruolo determinante nello schieramento del prossimo Governo federale; ciononostante una “coal-exit” o una “lignite-exit” sono un’impresa ardua non solo per motivi puramente tecnico-scientifici, o economici, ma anche amministrativi, legali e costituzionali: in poche parole non esiste alcuna “legge sulla lignite” come invece esiste una chiara “normativa nucleare”, in base alla quale si possono “semplicemente” spegnere da un momento all’altro tutte le centrali nucleari tedesche.

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Fig. 5      Lo sai che? La lignite è radioattiva. Ovviamente questa è un’immagine photoshoppata, e non esiste alcuna “lignite trasmutante”; tuttavia non va dimenticato che la concentrazione dei radionuclidi di origine naturale rende questo materiale più radioattivo di molti altri di uso comune [10].

(continua…)

Note:

[1]       Nel marzo 2011 erano operative in Germania 17 unità dislocate in 12 centrali. Le centrali di Brunsbüttel e Krümmel, comprese nel novero, erano però disattivate dal 2007 e non sono state più riattivate (fa eccezione un breve periodo di funzionamento nel 2009 per Krümmel).

A seguito dell’incidente di Fukushima il Governo federale tedesco dichiarò una moratoria di 3 mesi nei quali eseguire test e controlli stringenti su tutte e 17 le unità utilizzabili.

A fine lavori la Reaktor-Sicherheitskommission (RSK, Reactor Safety Commission – Commissione per la Sicurezza Nucleare) riferì che tutte le unità operative delle centrali nucleari tedesche erano sicure e “in salute”. Una garanzia evidentemente inutile, dato che il 30 maggio 2011, sotto la crescente pressione degli Stati federali caratterizzati da un’opinione pubblica di orientamento anti-nucleare, il Governo ripescò il piano di phase-out della precedente amministrazione e decise di “chiudere” tutte le centrali nucleari entro il 2022, di cui 8 unità da subito (6 più Brunsbüttel e Krümmel). Bundestag e Bundesrat approvarono praticamente “senza fiatare”.

Interessante notare che a stretto giro entrambe le Camere del Parlamento tedesco approvarono anche la costruzione di nuove centrali a carbone e a gas, nonostante la pretesa di mantenere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas-serra. Il tutto sotto il segno della Energiewende.

Inoltre ad oggi per nessuna delle unità in shutdown permanente esiste il benché minimo progetto federale di smantellamento; sono quindi considerate dai rispettivi esercenti come “in pausa”, in attesa che siano non solo ben definiti i termini del decommissioning ma anche quelli delle battaglie legali a contorno della (triste) vicenda.

Fonte principale: http://www.world-nuclear.org/information-library/country-profiles/countries-g-n/germany.aspx

A proposito di battaglie legali: http://planetsave.com/2016/10/12/swedish-utility-vattenfall-sues-germany-closure-brunsbuttel-krummel-nuclear-power-plants/

[2]       Grafenrheinfeld, PWR Siemens, 1275 MW(e) di capacità netta, della E.ON, in shutdown permanente da giugno 2015.

[3]       FER sta per Fonti di Energia Rinnovabile. Tra le “non-FER” viene annoverato anche il nucleare, sebbene sia arcinoto (ma non ci stancheremo mai di ricordarlo) che sia anch’essa una fonte di energia elettrica low carbon, ovvero è tra quelle che, tenuto conto dell’intero ciclo di vita di un impianto (LCA, Life Cycle Assessment), immettono in atmosfera – a parità di energia elettrica prodotta – un quantitativo di gas climalteranti inferiore per due ordini di grandezza rispetto alla lignite e al carbone. In particolare, le mediane degli studi analizzati attribuisce alle centrali nucleari un valore di emissioni di CO2 equivalente di poco superiori all’eolico e all’idroelettrico, e circa un terzo inferiore al solare fotovoltaico.
Fonti:
IPCC  WG III – Special Report on Renewable Energy Sources and Climate Change Mitigation, 2011, http://srren.ipcc-wg3.de/report/IPCC_SRREN_Full_Report.pdf

WNA Report – Comparison of Lifecycle Greenhose Gas Emissions of Various Electricity Generation Sources, 2011, http://www.world-nuclear.org/our-association/publications/online-reports/lifecycle-ghg-emissions-of-electricity-generation.aspx
[4]       Per questo nostro pezzo, ove non diversamente specificato, la fonte dei dati è “Electricity Prices in Free Fall“ di Jürgen Flauger e Franz Hubik, articolo apparso sul Handelsblatt il 23 marzo 2016.

Per avere un’idea della gravità della situazione abbiamo fatto due conti. La potenza di generazione netta delle centrali termoelettriche convenzionali e nucleari in Germania nel 2016 ammonta a circa 89 GW; per cui un obiettivo minimo di 521 TWh/anno significa mantenere un fattore di carico medio pari a circa il 67%; una previsione di 435 TWh/anno significa invece che il valore medio atteso del fattore di carico è molto più basso, ossia circa il 56%. In altre parole, se quest’ultima previsione per il 2016 dovesse essere confermata dalla produzione effettiva delle centrali, facendo un paragone con un impiegato medio che lavora circa 2000 ore all’anno, potremmo dire che sono state 5 mesi in ferie “forzate”.

[5]       Per approfondire consigliamo i grafici interattivi del Fraunhofer-Institut für Solare Energiesysteme (Fraunhofer ISE), che visualizzano nel dettaglio lo storico delle importazioni ed esportazioni di elettricità in Germania.

[6]       Il “parco nucleare” tedesco pur dimezzato continua a fornire un buon 16% dell’energia elettrica (87,07 TWh su un totale di 559,22 TWh, nel 2015), ovvero circa l’8% dell’energia primaria. Fonte: Fraunhofer ISE, 2016 e BMWi, 2015

[7]       Quantomeno non se ne parla prima del 2040, come ha dichiarato recentemente il Ministro dell’Economia, Sigmar Gabriel.

[8]       Matthias von Bechtolsheim e Michael Kruse, “The future of lignite power  – A viewpoint on the Energiewende and its impact on lignite power“, Arthur D. Little, 2015

[9]       A proposito, apprendiamo dalla divisione Platts della Standard & Poors che le esportazioni di Gazprom verso la Germania hanno registrato un +28% nel periodo 9/2015 – 9/2016.

[10]     Esistono numerosi studi che analizzano i dati, raccolti nelle cave di lignite e nelle centrali termoelettriche che usano questo combustibile naturalmente radioattivo, al fine di monitorare l’esposizione dei lavoratori e delle popolazioni residenti nelle zone limitrofe. La concentrazione dei radionuclidi, tipicamente isotopi del Radio, Torio e Potassio, varia a seconda dei casi ed è maggiore nelle ceneri sottoprodotto della combustione.

La pericolosità di questo tipo di contaminazione dell’ambiente è un argomento “da trattare con i guanti”, e che non è possibile esaurire in poche righe. Per il momento ci limitiamo a proporre una selezione di studi da consultare per chi volesse eventualmente farsi un’idea. Con una raccomandazione. Per un utile confronto, consultate queste fonti tenendo a portata di mano i valori della contaminazione radioattiva risultante dall’incidente di Fukushima:

Mara Hvistendahl, “Coal ash is more radioactive than nuclear waste”, Scientific American, Dec. 13, 2007

Hasani et al. “Naturally occurring radioactive materials (NORMs) generated from lignite-fired power plants in Kosovo”, Journal of Environmental Radioactivity 138 (2014) 156-161

N.R. Greiner, P. Wagner, “Natural radioactivity in lignites and lignite ash: Final report”, Los Alamos National Lab., NM (USA), 1987

Füsun Çam et al. “The natural radioactivity contents in feed coals from the lignite-fired power plants in Western Anatolia, Turkey”, Radiation Protection Dosimetry (2010), Vol. 142, No. 2–4, pp 300-307, doi:10.1093/rpd/ncq210

Saracevic et al. “The natural radioactivity in vicinity of the brown coal mine Tusnica – Livno, BiH”, Radioprotection, Volume 44, Number 5 (2009), http://dx.doi.org/10.1051/radiopro/20095062

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