Nell’assolata California a circa metà strada tra LA e San Francisco la terraferma incontra l’oceano in un susseguirsi di baie e piccoli promontori. E proprio qui tra San Luis Obispo e Morro – di fronte le onde del Pacifico, alle spalle laggiù dietro ai colli la foresta di Los Padres – ecco Diablo Canyon, piccola grande centrale nucleare. Due unità di media potenza, energia elettrica pulita, sicura ed affidabile, come si suole dire. Incidentalmente, per molti addetti ai lavori forse la più bella centrale al Mondo. Eppure non va bene. Perché?
Proponiamo ai nostri lettori la traduzione di un interessante articolo, apparso originariamente su The Conversation con il titolo di “Can environmentalists learn to love – or just tolerate – nuclear power?” grazie alla penna di David K. Hecht [1]. Lo abbiamo anche corredato con alcune immagini eloquenti, raccolte per voi dalla rete, sperando che ci aiutino a capire:
Diablo Canyon continua a non piacere alla gente che piace? Oppure no…

A giugno, l’azienda pubblica Pacific Gas and Electric ha annunciato il ritiro graduale della centrale nucleare Diablo Canyon, situata al centro della costa californiana.
Se verrà rispettata l’attuale tabella di marcia, al termine dell’estate 2025 sarà la prima volta, dopo oltre sei decenni, che lo Stato americano più popoloso non disporrà di fornitori autorizzati di elettricità da fonte nucleare.
È una grande novità. Quarant’anni fa l’impianto di Diablo Canyon fu al centro di un’intensa controversia sulla sicurezza ed opportunità del nucleare. E quei dibattiti fanno parte della storia delle origini del movimento antinuclearista. L’aver fallito, non riuscendo a fermare l’entrata in funzione dell’impianto, ha istruito e galvanizzato una generazione di attivisti anti-nucleare. Da questa prospettiva, la decisione della Pacific Gas and Electric di rimpiazzare l’energia atomica con quella rinnovabile pare una vittoria ambientalista, una rivendicazione tardiva degli sforzi antinucleari degli anni ‘70.
Tuttavia, nell’epoca dei cambiamenti climatici, nessuna decisione circa la produzione di energia è semplice.
La scelta della California di abbandonare l’energia atomica si affianca ad una modesta rivalutazione di una tecnologia che un tempo era denigrata dalla maggior parte degli ambientalisti. James Hansen, lo scienziato la cui testimonianza nel 1988 dinnanzi al Congresso diede risalto e rilevanza politica al cambiamento climatico, è divenuto uno dei molti ambientalisti di spicco che sostengono l’uso pacifico dell’energia nucleare.
Il problema delle scorie, della sicurezza e della garanzia di un funzionamento senza incidenti sono opprimenti come sempre. Tuttavia il contesto è la chiave, i reali ma remoti pericoli del nucleare si potrebbero rivelare più gestibili delle più percepibili – ed accelerate – conseguenze del riscaldamento del nostro Pianeta.
Oggi l’impianto di Diablo potrebbe aprire un secondo frangente della storia nucleare americana, nel quale gli ambientalisti dovranno abbracciare – o anche solo accettare – la medesima tecnologia che ha contribuito ad instillare in loro il sospetto verso un eccessivo affidamento a soluzioni tecniche in risposta alle sfide politiche e sociali dell’approvvigionamento energetico.
Sogni atomici
Per decenni, prima che diventasse un obiettivo degli attivisti, quella nucleare era celebrata come scienza rivoluzionaria. Sin dal primo decennio del 20° secolo i giornali e periodici riportavano le scoperte di Ernest Rutherford, Marie Curie e altri pionieri nucleari. La prospettiva di trasmutare la materia – di trasformare un elemento in un altro – era stato un sogno degli alchimisti medievali, ed i giornalisti così come i loro lettori ben presto si appassionarono alla nuova scienza.
Spesso è stata proclamata come “qualcosa di nuovo nell’universo”, un simbolo della grande capacità umana di controllare la natura. Inoltre, il solo fatto di poter rilasciare l’energia immagazzinata fissionando o fondendo gli atomi ha rapidamente fatto crescere utopiche fantasie tecnologiche, nelle quali innovazioni come “trattamenti medici con infusioni di Radio” e “motonavi alimentate ad Uranio” avrebbero cambiato il Mondo.
Una generazione più tardi, il successo del Progetto Manhattan ha reso tali speculazioni plausibili.
I media nel Dopoguerra erano galvanizzati dalle prospettive dei miracoli atomici: macchine elettriche, energia a basso costo, controllo climatico e cura per il cancro. Nel 1953, il presidente Eisenhower diede il via ufficiale a qualcuno di questi progetti con l’iniziativa “Atomi per la Pace”, ed il suo secondo mandato era appena iniziato quando la centrale nucleare di Shippingport (Pennsylvania) iniziò a fornire energia elettrica da fonte nucleare.
Nuovi impianti presto diventarono operativi. Alla fine degli anni ‘70 erano più di 150 quelli autorizzati. Se, nella metà del secolo, le armi atomiche riempirono le teste degli americani di pensieri sulla Fine del Mondo, l’energia elettrica da fonte nucleare fece l’opposto: era il sogno di un futuro a trazione tecnologica, dove il nucleare avrebbe aiutato ad estendere la prosperità del Dopoguerra per sempre.
Eisenhower iniziò a percorrere questa strada nel 1953, quando annunciando “Atomi per la Pace” disse: ‹‹Gli esperti dovrebbero mobilitarsi per applicare l’utilizzo dell’energia atomica ai bisogni dell’agricoltura, della medicina e di altre attività pacifiche. Un’iniziativa lodevole sarebbe quella di fornire abbondante energia elettrica nelle aree energeticamente povere del mondo.››
Emergono problemi
La vitalità dei sogni dipende non solo da ciò che viene affermato esplicitamente, ma anche da ciò che rimane non detto. In questo caso, la tessera mancante era la consapevolezza ambientale. Lo è stata fino alla proliferazione dei test della bomba all’idrogeno negli anni ‘50, quando i costi reali del nucleare, in termini di salute ed ambiente, iniziarono ad essere scoperti; sarà necessario un altro decennio o più perché le preoccupazioni circa la produzione elettrica diventino paragonabili a quelle dello sviluppo bellico.
Diablo Canyon ne è un esempio calzante. I dirigenti del Sierra Club [2] strinsero una partnership con la Pacific Gas and Electric per la scelta del sito nel 1965, con l’obiettivo di risparmiare un’altra area selvatica più importante. Non erano particolarmente preoccupati dal tipo di centrale proposta. I loro dubbi erano semplicemente correlati ad una gestione intelligente delle risorse naturali, e la centrale di Diablo sollevò questioni sul giusto bilancio tra protezione ambientale e sviluppo industriale.
Anche allora potevano esserci paure di un meltdown nucleare [3] o di incidenti simili, tuttavia non furono così pronunciate come lo diverranno nel decennio successivo.
La cooperazione tra industria ed ambientalisti ha iniziato a deteriorarsi sul finire del 1960. In California, alcuni network ambientalisti iniziarono a prendere di mira l’impianto, e si formarono nuove organizzazioni che alla conciliazione ed alla negoziazione preferivano la resistenza. David Brower, l’amministratore delegato del Sierra Club, condusse una battaglia ben pubblicizzata contro il suo stesso consiglio d’amministrazione, finendo col dimettersi per fondare il gruppo più radicale Friends of the Earth.
Il cambiamento del clima politico all’interno del Paese giocò un ruolo nella vicenda. Brower ed altri attivisti manifestarono tutto lo scetticismo, tipico dell’epoca della Guerra del Vietnam, grazie al quale gli interessi dell’industria e delle persone appaiono intrinsecamente in conflitto. Semplicemente non si poteva credere al rispetto degli standard di sicurezza da parte delle grandi imprese, alla loro considerazione della salute umana o ambientale a scapito del profitto.
Inoltre, il movimento ambientalista nella sua evoluzione fu portato a guardare al nucleare da una posizione differente, rispetto a quella di tipo conservazionista, che era stata dei predecessori. Infatti, a partire dagli anni ‘70, gli ambientalisti non cercarono solamente di decidere il ritmo della modernizzazione, ma addirittura di metterne in discussione completamente le premesse. Best seller come “Silent Spring” (1962) [4] e “The Population Bomb” (1968) [5] spronarono i lettori a chiedersi se una crescita sfrenata fosse desiderabile o meno, o perfino possibile. Grandi disastri, come la perdita di petrolio a Santa Barbara nel 1969 [6], richiamarono l’attenzione sulla fragilità dell’ambiente naturale, ed allo stesso tempo sulla possibilità inquietante che gli incidenti fossero inevitabili, piuttosto che anomali.
L’energia atomica stava già diventando sospetta, in quanto associata alle vicende della Guerra Fredda, e ad uno spaventoso potenziale di contaminazione radioattiva – che lo storico della scienza Spencer Weart ha identificato quale probabile elemento maggiormente distintivo della paura nucleare. Ma è a partire dagli anni settanta che, nonostante i collassi energetici di allora [7], il nucleare divenne per gli ambientalisti quello che i combustibili fossili sono oggi: un simbolo delle scelte sbagliate dei decenni passati, un’opportunità per ripensare l’intero panorama energetico.
Gran parte di tutto questo era vero già prima del famigerato incidente di Three Miles Island del 1979 [8]. La Nuclear Regulatory Commission direbbe che in definitiva gli effetti sulla salute furono minimi – certamente nulla di paragonabile a ciò che gli ambientalisti temettero potesse accadere. Tuttavia, le conseguenze psicologiche furono rilevanti, sia a causa dei giorni di incertezza che seguirono l’incidente sia grazie all’inquietante somiglianza tra gli eventi realmente accaduti ed un film uscito da poco nelle sale, “The China Syndrome” [9], che descriveva un caso di insabbiamento concernente i rischi per la sicurezza di una centrale nucleare. Pochi anni dopo, queste paure saranno ulteriormente amplificate dalla facile associazione con l’attivismo anti-proliferazione delle armi atomiche, all’inizio degli anni ‘80.

Ammorbidire le posizioni?
“La storia dell’umanità,” scrisse H.G. Wells nel 1914, “è la storia della conquista di fonti esterne di energia.” Nell’epoca della consapevolezza ambientale, essa è diventata anche la cronaca dei tentativi degli esseri umani di arrivare a patti con le conseguenze di questo sforzo. Un tempo, gli attivisti anti-nucleare – a Diablo e ovunque – erano abbastanza consci di questo, credendo che la capacità produttiva non potesse essere più importante dei rischi per la natura e la salute umana.
Recentemente, invece, alcuni ambientalisti si sono appassionati al nucleare. Stewart Brand, il cui “Whole Earth Catalog” [10], lanciato per la prima volta nel 1968, fece di lui un’icona del movimento ecologista, è uno tra i più noti. “Sono così pro-nucleare adesso,” ha detto alla NPR [11] nel 2010, “che sarei favorevole ad esso perfino se il cambiamento climatico ed i gas serra non fossero un problema”.
L’entusiasmo di Brand lo rende uno “fuori dal coro”, perfino tra gli ecologisti che hanno ammorbidito le loro posizioni. Ciò che pare essere cambiato in loro non è la valutazione dei rischi del nucleare, quanto una consapevolezza che la crisi ambientale è addirittura peggiore di quanto avessero pensato negli anni settanta, in particolare la minaccia del cambiamento climatico a seguito dell’accumulo di gas serra nell’atmosfera.
Ciò che questi sostenitori più moderati hanno in comune – sia con Brand che con i loro compagni ecologisti ancora scettici – è il riconoscimento del fatto che le questioni energetiche non sono meri tecnicismi. Esse rispecchiano come le persone vorrebbero organizzare la loro società e la loro economia. Queste sono domande che gli attivisti anti-nucleare si posero e posero, tra gli altri, per tutti gli anni ‘70.


Potrebbe essere che incrementare la dipendenza dall’energia atomica dovrà far parte della “cassetta degli attrezzi” di cui necessitiamo per sopravvivere al cambiamento climatico.
Comunque, questa scelta porterà con sé dei rischi – non solo quelli di un meltdown, ma anche quello che vengano evitate quelle domande difficili che gli attivisti all’epoca di Diablo provarono a fare: possiamo alimentare la nostra società senza ricorrere alla tecnologia su scala industriale con rischi significativi? Potrebbe non essere possibile – o auspicabile – vivere dei compromessi che il nostro appetito per l’energia ci richiede.
Note del traduttore
[1] Professore associato di storia presso il Bowdoin College di Brunswick, Main, USA.
[2] È un’associazione ambientalista.
[3] Fusione del nocciolo di un reattore nucleare con eventuale fuoriuscita di materiale radioattivo. Il termine è usato in modo informale per indicare il collasso sia parziale che completo del reattore. Core melt accident e partial core melt sono i termini tecnici preferiti sia dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica che dalla Nuclear Regolatory Commission degli Stati Uniti.
[4] In italiano, “Primavera Silenziosa”, di Rachel Carson.
[5] Di Paul R. Ehrlich.
[6] Nel canale Santa Barbara a partire dal 28 gennaio 1969 fuoriuscirono 13-16.000 m3 di petrolio. È stata la più grande perdita di petrolio della storia in acque americane.
[7] In quel periodo molti Paesi industrializzati si trovarono a corto di petrolio a causa di problemi in Medioriente.
[8] Incidente con fusione del nocciolo parziale avvenuto nella omonima centrale nucleare in Pennsylvania. È stato il più grave incidente del nucleare civile americano, classificato a livello 5 della scala INES.
[9] La Sindrome Cinese (China Syndrome) è un ipotetico (più che altro frutto di ragionamenti iperbolici) incidente nucleare, caratterizzato dal meltdown catastrofico del reattore: il combustibile nucleare, fuso con altre parti del nocciolo, “buca” il contenimento e cola verso il centro della Terra, sbucando dalla parte opposta del globo terracqueo, che in America è colloquialmente individuata con la Cina. Da tale ipotesi fantasiosa prende spunto il film. Per ulteriori dettagli proponiamo la lettura o rilettura di un nostro “vecchio” post, pubblicato in “due tempi”, dove trattammo l’argomento non senza una certa dose di ironia:
[10] Era una pubblicazione a basso costo che conteneva un elenco dei migliori attrezzi al mondo con immagini, analisi ed usi. In ogni edizione il catalogo esaminava centinaia di prodotti.
[11] National Public Radio.
Appendice tecnica
Diablo Canyon è una centrale nucleare di proprietà della PG&E Corporation, si trova in California, ad Avila Beach, ed occupa grossomodo 360 ettari. È operativa dal 1985 con l’unità 1 e dal 1986 con la 2 (esercizio commerciale). Entrambe le unità sono del tipo PWR (Pressurized Water Reator), vale a dire sono caratterizzate dal fatto che nel circuito primario il fluido termovettore e moderatore è acqua leggera (H2O) pressurizzata. Negli anni sono state effettuate diverse opere di miglioramento dei sistemi che compongono i tre circuiti di ciascuna unità, primario, secondario e di raffreddamneto. Grazie all’uprating, nell’unità 1 la capacità netta è passata da 1073 MWe a 1138 MWe, nella 2 da 1079 MWe a 1118 MWe.

Da quando è stata connessa alla rete elettrica, l’11 novembre 1984, fino al 31 dicembre 2015, Diablo Canyon 1 ha fornito qualcosa come 254 TWh, Diablo Canyon 2, dal 20 ottobre 1985, circa 251 TWh. In questo arco temporale il fattore di disponibilità delle due unità risulta essere pari a 87,3 % e 89,3 % rispettivamente, il fattore di capacità è invece pari a 86,3% e 87,4%.
Questi dati ci permettono di calcolare la densità di potenza areale della centrale, ossia la potenza elettrica che la centrale rende disponibile in media 24 ore su 24, 365 giorni all’anno per ogni metro quadro di suolo che occupa con le sue strutture. Tenuto conto di una capacità netta complessiva pari a 2256 MWe e di un valore medio del fattore di capacità pari a 87%, si hanno grossomodo 545 W/m2. 68 volte il valore che si può calcolare per Ivanpah, mega centrale elettrica a concentrazione solare, posta al confine tra California e Nevada, nella contea di San Bernardino. (A proposito, ne abbiamo già parlato qualche settimana fa…)
È possibile fare qualche altro conto.
Avendo fornito alla rete elettrica grossomodo 504 TWh in circa 30 anni, Diablo Canyon ha fatto “risparmiare” circa 497 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, rispetto ad una centrale a carbone di dimensioni analoghe. (Basando i calcoli sul metodo LCA e sui dati IPCC – valori mediani di tutti gli studi, si hanno 16 gCO2eq/kWh da fonte nucleare, mentre per il carbone 1001 gCO2eq/kWh; da cui un risparmio di 985 gCO2eq/kWh.) Per confronto si veda il valore delle emissioni italiane (dati ISPRA) per l’anno 2013: 437 mln tCO2eq.
Infine, l’anno scorso Diablo Canyon ha fornito 18,5 TWh di elettricità; se si fosse trovata in Italia avrebbe coperto circa il 6% dei Consumi Interni Lordi (vedi dati GSE sui consumi elettrici), una percentuale di poco inferiore a quella ottenuta con l’intero parco fotovoltaico italiano (7%) e superiore a quella dell’eolico (5%).
Per verificare i dati tecnici di Diablo Canyon potete consultare il Power Reactor Information System della AIEA ai seguenti indirizzi internet:
https://www.iaea.org/PRIS/CountryStatistics/ReactorDetails.aspx?current=628
https://www.iaea.org/PRIS/CountryStatistics/ReactorDetails.aspx?current=660
L’altro ieri quelli della Environmental Progress si sono scatenati. Hanno presentato una mozione alla California Public Utilities Commission (CPUC) sostenendo che si dovrebbe sospendere ogni azione concernente la proposta della Pacific Gas & Electric di chiudere Diablo Canyon, finché la stessa CPUC non avrà rese pubbliche alcune email che possono contenere le prove di un’attività criminale mirata alla chiusura di San Onofre e perpretata sia dall’attuale presidente della CPUC che da quello precedente. Tale sospesione – viene inoltre richiesto – dovrebbe essere mantenuta fintanto che le indagini penali ed i relativi processi in cui la CPUC è “infognata” non siano giunti ad una conclusione, ed il legislatore non abbia implementato una riforma radicale della CPUC.
L’affaire San Onofre è roba che scotta. Almeno a leggere quanto riportato qui:
http://www.environmentalprogress.org/big-news/2016/9/8/future-of-californias-largest-nuclear-plant-diablo-canyon-should-not-be-decided-by-a-california-public-utilities-commission-that-is-hiding-emails-under-an-active-criminal-investigation