Batterie nucleari? Facciamo chiarezza

di Matteo Frosini


Aggiornamento 9/9/2025: abbiamo pubblicato sul nostro canale Instagram alcuni quiz sulle tematiche trattate da questo articolo. Trovate i quesiti e le relative risposte scorrendo fino in fondo alla pagina. Se siete interessati alle puntate precedenti dei nostri quiz, potete leggere gli articoli correlati quiquiquiquiqui e qui.


Cosa sono le batterie a radioisotopi?

Nelle ultime settimane è stata diffusa la notizia da parte dell’azienda cinese Beijing Betavolt New Energy Technology della fabbricazione di un primo prototipo miniaturizzato di batteria alimentata dal decadimento radioattivo dell’elemento Nichel-63.

La batteria è costruita come un “sandwich” multistrato dove si alternano strati sottili di Nichel-63 metallico che funge da sorgente di energia e strati di un cristallo semiconduttore che svolge la funzione di convertitore di energia. Il Nichel-63 decade emettendo energia sotto forma di particelle beta (da cui il nome Betavolt) e il cristallo assorbe parte di questa energia convertendola in impulsi elettrici. Questa struttura è quindi racchiusa in un involucro protettivo con dimensioni di circa 1,5 cm x 1,5 cm e spessore mezzo centimetro (più piccola di una moneta da 1 euro per intenderci).

Fonte: Betavolt
Fonte: Betavolt

Il notevole vantaggio potenziale di questo tipo di batterie è sicuramente la vita utile: l’azienda costruttrice stima un utilizzo efficiente del sistema di alimentazione per almeno 50 anni. Un altro vantaggio da sottolineare per questi dispositivi è la tolleranza termica, possono infatti garantire il corretto funzionamento in un ampio intervallo di temperature, da diverse decine di gradi sotto lo zero fino ad un centinaio di gradi sopra lo zero.

La stessa azienda cinese sta pianificando la ricerca per l’utilizzo di altri elementi radioattivi come lo Stronzio-90. Altri tipi di batterie a radioisotopi si basano sulla fabbricazione di materiali simili a diamanti ai quali viene aggiunto del Carbonio-14, anch’esso radioattivo, in modo da avere in un unico componente sia la sorgente di energia che il convertitore.

Ad oggi dispositivi che sfruttano l’energia prodotta da decadimenti radioattivi esistono nella forma dei Generatori Termoelettrici a Radioisotopi (in inglese RTG). Questi, a differenza delle batterie a radioisotopi, sfruttano il calore derivante dal processo di decadimento di elementi radioattivi come il Plutonio convertendolo in energia elettrica: vengono impiegati prevalentemente su sonde per l’esplorazione spaziale.

Perché il Nichel-63?

Dal punto di vista fisico queste batterie sfruttano il decadimento radioattivo del Nichel-63 che è un radioisotopo del Nichel, che in natura si trova in prevalenza come Nichel-58 stabile. Sotto è riportata la tabella con tutti gli isotopi noti del Nichel (fonte Wikipedia).

Nichel ed acciai austenitici - Mori 2A
Immagine che contiene testo, schermata, Carattere, numero

Descrizione generata automaticamente

Il Nichel-63 è instabile a causa di un eccesso di neutroni: per raggiungere la stabilità va incontro al decadimento beta- (β-), processo fisico nel quale un neutrone del nucleo si converte in un protone liberando un elettrone, la particella beta- per l’appunto. Nel processo viene anche liberata un’altra particella chiamata antineutrino, ma che ai fini di questa spiegazione non interessa, per cui verrà tralasciata.

Nella figura sotto sono mostrati due modi diversi di rappresentare un decadimento radioattivo: quello di destra, usato in fisica, prende il nome di schema di decadimento e fornisce informazioni molto utili per capire la “natura” del radioisotopo. Partendo dall’alto troviamo il Nichel-63 (Ni-63) e tra parentesi la sua emivita ovvero il tempo trascorso il quale si ha il decadimento di metà dei nuclei radioattivi. Per il Ni-63 quindi, mediamente, dopo 100 anni si ottiene metà della quantità iniziale di radioisotopo. Seguendo la freccia rossa si arriva al “figlio” del Ni-63, il Rame-63 (Cu-63) che risulta stabile per cui non si hanno ulteriori decadimenti radioattivi. La freccia riporta la dicitura del tipo di decadimento (β-) e la probabilità di avere quello specifico decadimento: per il Ni-63 si ha solo decadimento β- (100%). Il numero 67 keV rappresenta l’energia massima che possiede la particella β- (l’elettrone) quando viene emessa: questa ci dà un’indicazione della capacità di penetrazione delle particelle nei materiali. 

Se si parla di decadimenti radioattivi si deve sicuramente fare riferimento all’attività del radioisotopo di partenza (che per le batterie si può associare ad una “potenza”). L’attività o radioattività si misura in Becquerel (Bq) ovvero il numero di decadimenti che si hanno in un secondo. Un’altra unità di misura che spesso si trova associata al Bq è il Curie (Ci): 1 Ci corrisponde a 37 miliardi di decadimenti al secondo (per comodità 37 GBq). Avrete capito che queste unità di misura sono omaggio ai pionieri degli studi sulla radioattività Henri Becquerel e Marie Curie.

Quali sono i vantaggi?

Da un punto di vista pratico cerchiamo dunque di riassumere i potenziali vantaggi di una batteria a Ni-63.

  • Durata: il Ni-63 dimezza in 100 anni per cui è in grado di mantenere pressochè inalterata la produzione di energia per un intervallo di tempo lungo, considerando la vita utile dichiarata dal costruttore, dopo 50 anni si avrebbe circa il 71% dell’attività iniziale;
  • Tolleranza termica: il decadimento radioattivo del Ni-63 non risulta influenzato dalla temperatura esterna, si tratta infatti di un processo fisico che avviene a livello nucleare. La produzione di energia, quindi, non risente degli sbalzi di temperatura, semmai è il processo di conversione dell’energia in corrente a risentirne;
  • Nessun “rifiuto” radioattivo: abbiamo visto che il Ni-63 decade in Rame-63 che risulta stabile, per cui non si ha la produzione di ulteriori elementi radioattivi.

Questo tipo di tecnologia rappresenta un rischio?

Le particelle beta emesse dal Ni-63 sono radiazioni ionizzanti, ovvero la loro interazione con la materia comporta una deposizione di energia con ionizzazione degli atomi presenti. Se da un lato questo fenomeno fisico è sfruttato per raccogliere e convertire l’energia prodotta dal Ni-63 dall’altro potrebbe rappresentare un rischio potenziale per l’utilizzatore. Ma procediamo per gradi.

Intanto partiamo con il dire che le particelle beta sono radiazioni ionizzanti debolmente penetranti; quindi, a differenza di radiazione X o gamma vengono facilmente assorbiti nella materia e pertanto risultano facilmente schermabili. Un altro aspetto che va tenuto in conto è l’energia che questi elettroni hanno quando vengono emessi: maggiore è questa energia e maggiore sarà la loro capacità di penetrare nei materiali. Questa caratteristica è ben rappresentata nel grafico sotto, dove si riporta il cammino (o Range) che gli elettroni riescono a percorrere in aria in funzione della loro energia. Come si legge il grafico? Si procede come indicato dalle frecce, si parte dall’energia degli elettroni sull’asse orizzontale per arrivare al valore corrispondente di cammino fatto sull’asse verticale. Il Range non è però espresso come lunghezza in centimetri o metri: per ottenere una lunghezza basta dividere per la densità del materiale, in questo caso l’aria (densità 0,0012 g/cm3). Facciamo qualche esempio: prendiamo elettroni di energia 1 MeV, ovvero 1000 keV, proiettiamo il valore sull’asse verticale e troveremo circa 1 g/cm2, dividiamo quindi per la densità dell’aria e otteniamo circa 830 centimetri, ovvero 8,3 metri. Se prendiamo invece l’energia massima degli elettroni emessi dal Ni-63, pari a circa 70 keV e ripetiamo l’operazione, arriviamo a 0,01 g/cm2, che diviso per la densità dell’aria porta a 8,3 cm e quindi 100 volte in meno rispetto al percorso degli elettroni da 1000 keV.

Consideriamo ora il materiale di cui è fatta la copertura della batteria contenente Ni-63. Trascurando tutti gli strati interni che assorbono gli elettroni emessi, ipotizziamo che sia soltanto alluminio. Prendiamo il grafico per l’alluminio, che ha densità di 2,7 g/cm3 e ripetiamo la procedura vista con l’aria. Il valore che si ottiene è paragonabile a quello trovato per l’aria, circa 0,01 g/cm2, ma questa volta dobbiamo dividere per 2,7 g/cm3, ottenendo 0,004 cm ovvero 40 micron (μm). Per confronto lo spessore di un capello umano è circa 100 μm.

E nel caso in cui non avessi il materiale che scherma gli elettroni emessi? Ipotizziamo che si tenga direttamente tra le mani la batteria “nuda” e che il Ni-63 sia in contatto con la nostra pelle. Dalla curva relativa alla pelle, con densità pari a 1,1 g/cm3 (composizione definita dalla International Commission on Radiological Protection), per elettroni emessi da Ni-63 si ottiene 0,008 g/cm2, che diviso per la densità della pelle porta a 0.007 cm, ovvero circa 70 μm. Quindi gli elettroni di energia massima emessi dal Ni-63 potrebbero riuscire a penetrare al massimo a 70 μm di profondità nella nostra pelle. E quindi? La parte superficiale della nostra pelle è costituita da uno strato di cellule morte (strato corneo) di spessore pari a circa 70 μm. Questo significa che, anche se il Ni-63 fosse a diretto contatto con la nostra pelle, gli elettroni emessi non riuscirebbero a penetrare fino agli strati dove si trovano cellule vive e quindi sensibili al danneggiamento da parte della radiazione.

Immagine che contiene testo, linea, diagramma, Diagramma

Descrizione generata automaticamente

Queste valutazioni, che sono usate in radioprotezione, considerano lo scenario di esposizione esterna. Un altro possibile scenario è quello della contaminazione interna al nostro corpo: nel caso di ingestione di una batteria integra abbiamo visto che la radiazione emessa dal Ni-63 non riuscirebbe a fuoriuscire dalla copertura esterna del dispositivo. Lo scenario peggiore consiste nell’ingestione di una batteria “nuda”, ovvero con il Ni-63 scoperto. La domanda in questo caso è però un’altra: perché una persona dovrebbe intenzionalmente rompere una batteria e ingerirla? Lascio al lettore le dovute considerazioni.

Si può commercializzare un prodotto del genere?

Dal punto di vista normativo, prima di poter immettere sul mercato un dispositivo contenente una sorgente radioattiva, deve essere dimostrata la sua resistenza alle possibili sollecitazioni esterne. Le norme ISO 2919 e ISO 9978 descrivono tutti i test a cui deve essere sottoposto un dispositivo di questo genere prima di poter essere commercializzato. I test prevedono prove di resistenza ad alte temperature per un certo intervallo di tempo, pressioni elevate, cadute, immersioni, vibrazioni e punzonatura. Il test di resistenza a 180 °C è obbligatorio.

E in Italia? Nel nostro Paese prima di poter commercializzare un prodotto contenente materiale radioattivo deve essere rilasciata l’autorizzazione ministeriale che tiene conto del tipo di dispositivo, della radioattività totale contenuta, dei potenziali rischi derivanti dal suo utilizzo e altri ancora.

Esistono prodotti commercializzati contenenti radioattività?

La risposta è sì. Giusto per tornare al Ni-63 esistono dei macchinari usati nei laboratori di chimica analitica, chiamati gascromatografi, che possono contenere delle piccole sorgenti di Ni-63 sfruttate per l’analisi degli elementi contenuti in matrici gassose. Altri esempi sono i rivelatori di fumo, che possono contenere Americio-241, quadranti e scritte luminescenti contenenti Trizio (H-3), dispositivi per l’analisi dell’aria contenenti Carbonio-14, parafulmini con sorgenti di Radio-226 o Americio-241 (la cui produzione è ormai vietata), e altri ancora.


QUANTE NE SAI?

Abbiamo di recente lanciato sul nostro canale Instagram una serie di quiz a tema nucleare, con cadenza settimanale.
Ecco i quesiti proposti l’8 settembre 2025 (in grassetto le risposte corrette):

1) Quale isotopo viene utilizzato?
a – Uranio-233
b- Nichel-63
c – Plutonio-239

2)  Qual è la vita media stimata di una batteria?
a – 5 anni
b- 50 anni
c -100 anni

3) Le particelle beta emesse non sono pericolose?
a – Non penetrano in profondità
b – Sono schermate interamente dall’aria
c – Non emettono radiazioni


Riferimenti

10 pensieri riguardo “Batterie nucleari? Facciamo chiarezza

  1. e’ stata considerata la produzione di raggi X dovuti all’impatto degli elettoni espulsi, sui materiali che circondano la sorgente di nichel?

  2. Ottimo dettagliato e chiaro. Immagino però che sulla sicurezza ci sarà ancora molto da discutere… Grazie mille!👍👍👍

Scrivi una risposta a morganion Cancella risposta

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.