[numeri alla mano si dimostra come proporre l’utilizzo esclusivo di energia rinnovabile prodotta localmente non sia affatto una buona idea in un Mondo dove la maggior parte della popolazione va concentrandosi in megalopoli – ricordando che abbinare a tale proposta quella di una riduzione dei consumi a livello globale con “tagli lineari” significa distruggere le speranze di chi lotta per uscire dalla povertà materiale]
Alcuni ambientalisti e sostenitori delle energie rinnovabili hanno una preferenza ideologica per gli impianti di dimensioni ridotte e su scala locale – a livello di area metropolitana, per esempio. Che fare allora se il vostro quartiere si presenta così?

Ad alcune persone potrebbe allettare l’idea di far funzionare Tokyo utilizzando esclusivamente energia rinnovabile prodotta localmente. Ma incontreranno qualche seria difficoltà a metterla in pratica.
Dal 2008 la maggior parte dell’umanità vive in città. Ed entro il 2050 è probabile che la tendenza si consolidi – alcune stime si aggirano attorno al 70-80%. La sfida energetica chiave di questo secolo sarà il soddisfacimento del fabbisogno delle megalopoli, e l’energia prodotta a livello locale e distribuita “a chilometro zero” non può essere una soluzione. Cerchiamo di capire il perché sbrogliando la matassa delle questioni coinvolte in questo “macro problema energetico”.
Innanzitutto alcune considerazioni. Un abitante del Nord America in media ha un consumo energetico annuo pari a poco più di 7 tonnellate equivalenti di petrolio (tep). Il che equivale a circa 81 MWh/p/anno, ossia ad un tasso di utilizzo di potenza media di 9 kW pro capite – quasi il doppio di quello che si ha in Paesi come Germania, Francia e Giappone. E questo senza che si abbiano evidenze che i nordamericani godano di maggiore benessere a causa del loro uso maggiore di energia: gli abitanti degli Stati Uniti d’America non vivono più a lungo, non sono più sani, o meglio istruiti di altri abitanti dei Paesi c.d. sviluppati che consumano quantità di energia pro capite pari alla metà. Inoltre occorre sottolineare che le emissioni globali di anidride carbonica diminuirebbero di quasi il 10% se i nordamericani consumassero come gli europei. Dunque, non è necessario né auspicabile che gli abitanti dei Paesi in via di sviluppo emulino in tutto e per tutto i modelli di consumo del Nord America.

Un’ulteriore prova a favore dell’opportunità di limitare e ridurre i consumi di energia pro capite nei Paesi sviluppati è data dalla stessa evoluzione dei loro consumi negli ultimi decenni, che sembrano aver raggiunto il picco quasi ovunque. Per esempio, il consumo pro capite è diminuito costantemente nel Regno Unito nell’ultimo decennio, ed è ora al punto più basso da oltre quattro decenni. Declini evidenti si hanno anche in Germania e Giappone, e negli stessi Stati Uniti d’America, senza che siano state riscontrate riduzioni della qualità della vita.
Qualsiasi politica climatica/energetica sensibile agli effetti sul lungo termine dovrebbe includere una forte determinazione a favorire la continuazione di questo trend.
La convinzione che il Mondo intero possa passare ai livelli americani di consumo dell’energia godendo contemporaneamente di un sistema di produzione a basse emissioni di carbonio entro la metà di questo secolo non solo ignora le lezioni vitali apprese durante le transizioni energetiche precedenti avvenute nel corso della storia dell’umanità, ma, dato il ruolo attuale delle energie rinnovabili e del nucleare, appare anche delirante.
Un buon target per i consumi energetici pro capite potrebbe essere il Giappone, oppure Hong Kong, visto che, come abbiamo detto, le città svolgeranno con ogni probabilità un ruolo chiave.
Come ridurre dunque il consumo di energia?
Il modo più efficace per farlo è semplice: renderlo “denso”.
Dunque entro il 2050 ci servono molti impianti centralizzati di grandi dimensioni, di qualsivoglia fonte sostenibile, eolica, solare o nucleare. Oppure ci potrebbero essere utili grandi centrali nucleari ed idroelettriche, grandi parchi fotovoltaici, eolici e marini (ad energia mareomotrice), abbinati a piccole centrali nucleari modulari e/o idroelettriche, e ad elaborati sistemi di pompaggio e stoccaggio. (Presumendo, speranzosi, che nei prossimi 35 anni riusciremo a sbarazzarci dei combustibili fossili almeno nella produzione di energia elettrica – una prospettiva ad oggi improbabile.)
In ogni caso la risposta non è l’energia “diffusa localmente”, per alcuni semplici motivi che individueremo qui di seguito.
Prendiamo Manhattan. Non è certo un esempio tipico di quello che la maggior parte di noi considera come un “ideale verde”. Eppure a Manhattan si ha un consumo di energia per abitante significativamente più basso che in quasi ogni altra città americana. Allo stesso tempo nel suo complesso il consumo di energia di questo “quartiere” è di gran lunga maggiore della quantità di energia che potrebbe essere fornita in teoria dalle fonti rinnovabili locali. In media un isolato a Manhattan consuma energia ad un tasso di oltre 1000 kWh per metro quadrato all’anno, una densità di potenza superiore a 100 W/m2 [1] – quasi due ordini di grandezza superiore alla densità di potenza dell’eolico [2] [3]; sempre che si possa anche solo ipotizzare di “riforestare” Manhattan con delle pale eoliche. E le potenzialità dell’energia solare non ci confortano di certo. Se si potesse coprire il 20% di Manhattan di pannelli solari avremmo grossomodo 4 W/m2 [2] [4].
Che dire del il resto del Nord America? Una volta ridotto il consumo di energia pro capite ai livelli giapponesi, un’idea sensata – ma forse impopolare – potrebbe essere quella di far funzionare molte città americane principalmente grazie alle fonti rinnovabili locali. O no?
Il grafico sottostante mostra la densità di popolazione rispetto alla densità di potenza resa disponibile in uno scenario di minori consumi pro capite per alcune città campione degli USA (USA in Japanese style):


Solo una città con bassa densità di popolazione come Phoenix ha una qualche possibilità di ottenere la maggior parte della sua energia da fonte rinnovabile. Ricoprendo infatti il 25% di Phoenix di pannelli fotovoltaici teoricamente si avrebbe la totale copertura del fabbisogno energetico della città. (L’Arizona è assolata!) Tuttavia, trattandosi di una superficie molto estesa, è facile immaginare che qualcuno avrebbe qualcosa da ridire a riguardo [5]. In ogni caso rimarrebbe un problema ancora più grande, e ad oggi insormontabile: ottenere più del 50% dell’energia di Phoenix da fonte solare locale richiederebbe un modo economico per immagazzinarla su larga scala.
Un sistema che prevede più del 50% di energia proveniente da fonte solare inevitabilmente richiede la contabilizzazione delle superfici di suolo da dedicare a grandi sistemi di immagazzinamento, e delle notevoli perdite, causate sia dalla ridotta efficienza dei sistemi fotovoltaici ai quali viene abbinato lo stoccaggio dell’energia elettrica prodotta sia dalla decurtazione degli eccessi di produzione sfasati rispetto ai picchi di domanda.
La prospettiva di avere città nordamericane che funzionano in gran parte a “fonti rinnovabili locali” sembra quindi improbabile, e l’83% dei nordamericani vive in città.
Passiamo al resto del Mondo.
Le 200 aree urbane più grandi del Mondo ospitano oltre 1,2 miliardi di persone, e un quarto di queste aree sono più densamente popolate di New York (10.000 persone per chilometro quadrato) – come illustrato dal seguente grafico:

Prima di chiederci se queste città possano funzionare a “fonti rinnovabili locali” dobbiamo evidenziare le disparità che si riscontrano attualmente nel consumo di energia. Qui di seguito riportiamo un confronto tra la popolazione di alcuni Paesi campione ed il loro consumo di energia pro capite – le popolazioni sono tracciate su una scala logaritmica a causa di Cina e India.


Mentre ci sono circa 350 milioni di nordamericani che possono, e dovrebbero, ridurre il loro consumo di energia portandolo ai livelli europei, ci sono anche molti abitanti del resto del Mondo – ma anche negli stessi USA – che devono aumentare il loro consumo di energia in modo significativo per migliorare la loro qualità di vita. Per la precisione oltre 35 Paesi del Mondo – con una popolazione totale di oltre 2 miliardi di abitanti – hanno un consumo pro capite inferiore al 10% di quello del Nord America.
Nonostante i desideri (e gli imperativi) di alcune ONG ambientaliste (si veda per esempio questo rapporto WWF a pagina 11) non è auspicabile proporre una riduzione del consumo di energia a livello globale. Bisogna entrare nel dettaglio. È infatti vero che il mondo c.d. sviluppato consuma energia in eccesso, ma nei Paesi sulla via dello sviluppo il consumo di energia è ancora troppo basso ed una sua eventuale diminuzione avrebbe senz’altro impatti negativi. Dovremmo pertanto da una parte ridurre il consumo eccessivo nei Paesi sviluppati e dall’altra aumentare il consumo di energia nei Paesi in via di sviluppo.
Tenendo buono l’esempio del Giappone, se le popolazioni delle 200 più grandi città del Mondo consumassero energia con il tasso giornaliero giapponese si avrebbe una situazione come quella descritta dal seguente grafico:

In totale 10 città avrebbero una densità di potenza utilizzata superiore a 100 W/m2, 56 città una superiore a 50 W/m2, mentre 181 città ne avrebbero una superiore a 10 W/m2 [1]. Ed abbiamo visto che le fonti rinnovabili difficilmente possono offrire più di 15 W/m2 su larga scala – anzi è più probabile che l’offerta rimanga nella gamma 1-10 W/m2. Questo significa che il 90% delle 200 città più grandi della Terra quasi certamente non può essere alimentato principalmente da energia rinnovabile prodotta localmente. La densità di popolazione di queste città non è significativamente diversa rispetto al resto delle città del Mondo; possiamo quindi concludere che la stragrande maggioranza delle città non può essere alimentata da fonti rinnovabili “local”.
E questo suggerisce l’esistenza di seri limiti al ruolo dell’energia “local” ovunque nel Mondo, un Mondo in cui entro 35 anni oltre il 70% di noi probabilmente vivrà in città.
Le prospettive sono ancora peggiori considerando i diversi Paesi presi singolarmente. Per esempio, delle 200 più grandi aree urbane del mondo, 17 si trovano in India. Eccole raccolte in un grafico:

120 milioni di persone vivono in queste città. Ricoprirle interamente con pannelli fotovoltaici con fattore di capacità pari al 10% significherebbe ottenere meno della metà del loro fabbisogno energetico.
E guardate quel puntino in alto a destra: è Bombay. Questa città, per coprire tutto il suo fabbisogno energetico (Japanese style) da fonte solare [6], dovrebbe sfruttare quasi il 100% della radiazione solare che la colpisce – una prospettiva remota.
Questa altissima densità di popolazione è sistematicamente ignorata dagli ambientalisti occidentali che chiedono più “energia disseminata” quale soluzione ai problemi energetici dell’India.
In conclusione, entro il secolo corrente la maggior parte dell’umanità vivrà in grandi città densamente popolate. Se i cittadini di queste città raggiungeranno una qualità di vita maggiore sarà solo generando energia centralizzata in grandi quantità, e grazie a reti di trasmissione e distribuzione ottimizzate e ben sviluppate.
Qui non si tratta di preferenze ideologiche, ma di fare i conti con la dura realtà.

Acknowledgments:
Questo post è una nostra rielaborazione, con integrazioni ed aggiornamenti, dell’articolo “The Future of Energy: Why Power Density Matters” di Robert Wilson, pubblicato su theenergycollective.com l’8 agosto 2013.
Note:
[1] Con “densità di potenza” si intende qui la “densità di potenza utilizzata”, ossia il rapporto tra il valore medio della potenza utilizzata annualmente da una data popolazione e la superficie di territorio occupata da tale popolazione.
[2] Per brevità chiameremo “densità di potenza” anche il valore medio della potenza generata/disponibile per metro quadrato di superficie occupata dagli impianti di produzione dell’energia elettrica. Alcuni chiamano questa grandezza derivata “densità di potenza areale” (areal power density).
Per ulteriori dettagli si vedano le note qui. Nel caso di fonte eolica, attenzione a non confondere la densità di potenza (output elettrico) con la potenza erogata dal vento per unità di superficie spazzata dalle pale degli aerogeneratori (input cinetico); e a non dimenticare che gli aerogeneratori devono essere disposti ad una distanza sufficiente gli uni dagli altri onde evitare che “si rubino il vento tra di loro”. (Per esempio gli esperti consigliano per la progettazione di un parco eolico di non posizionare gli aerogeneratori ad una distanza inferiore a 5 volte il diametro dei rotori – ovviamente se montiamo un solo aerogeneratore la densità di potenza erogata è notevolmente superiore; ma in questo caso stiamo parlando di energia a chilometro zero ad un livello local molto spinto.)
[3]David MacKay nel libro “Energia sostenibile – senza aria fritta” giunge ad una stima di 2 W/m2 come valore medio per impianti onshore su larga scala; altri studi più recenti sulla produzione degli impianti eolici di grosse dimensioni (sia onshore che offshore) riportano perlopiù valori medi in un range perfettamente conforme: 1-3 W/m2. Forniamo anche un esempio concreto, London Array, il parco eolico offshore più grande al Mondo in funzione dal 2013 nel mare di fronte alla foce del Tamigi: capacità 630 MW; area occupata 100 km2; fattore di capacità atteso 39%. Da cui: 630 MW / 100 km2 * 39% ≈ 2,5 W/m2. E questo con una locazione dell’impianto ottimale per quanto riguarda la ventosità.
Per ulteriori approfondimenti sui limiti fisici della generazione di elettricità da fonte eolica:
[4] Tipicamente i valori registrati nei parchi fotovoltaici di grandi dimensioni variano nell’intervallo 3-10 W/m2. L’anno scorso è uscito un report del MIT (“The Future of Solar Energy”) dove si dimostra che considerando il valore medio del soleggiamento sull’intera superficie degli Stati Uniti d’America il massimo teorico risulta essere pari a 15 W/m2. Per gli impianti CSP si stima di superare anche i 20 W/m2 su larga scala (in zone caratterizzate da particolare soleggiamento, per esempio i deserti). Paghiamo una pinta di birra (vel similia) a chiunque riesca a dimostrare – dati di produzione alla mano – che un parco fotovoltaico di grandi dimensioni è in grado di a generare mediamente (24/7) una potenza elettrica con una densità superiore a 20 W/m2.
[5] Bisognerebbe mettere in conto tra le altre cose che oggi come oggi gli abitanti di Phoenix godono dell’efficiente fornitura di elettricità proveniente da Palo Verde. Questa centrale nucleare occupa complessivamente un’area di 1600 ettari e produce in media 29,25 TWh all’anno, con un fattore di capacità medio calcolato sulla nameplate capacity pari all’85% – da cui una densità di potenza > 200 W/m2, tenendo conto anche della superficie dei parcheggi per i dipendenti della centrale!
[6] Per quanto riguarda il valore medio annuale della Direct Normal Irradiation, Bombay (Mombay) si trova nella fascia dei 1300-1500 kWh/m2, come si può vedere qui; mentre per quanto riguarda la Global Horizontal Irradiation si hanno in media circa 1900-2000 kWh/m2/anno, come si può vedere qui. Questo significa avere rispettivamente 148-171 W/m2 e 217-228 W/m2 di irradianza diretta normale ed orizzontale.