[Scenari di un’altra Italia]
Alla base della lotta ai cambiamenti climatici – tema centrale della XXI Conferenza delle Parti dell’UNFCC (COP21) tutt’ora in corso a Parigi – vi è la promozione di politiche finalizzate alla riduzione delle emissioni antropiche di gas serra.
L’Italia è senz’altro uno dei Paesi che più si sono impegnati in tal senso, negli ultimi anni. I principali interventi hanno riguardato l’incentivazione delle fonti rinnovabili nel settore elettrico (principalmente eolico e fotovoltaico) ed i meccanismi di promozione dell’efficienza e del risparmio energetico. I risultati sono significativi: rispetto ai valori del 1990, l’Italia nel 2013 ha prodotto il 16,1% in meno di emissioni, per un totale di 84 milioni annui di tonnellate di CO2 equivalenti risparmiate [1].
Tuttavia, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, questo dato va interpretato tenendo conto della congiuntura economica: la contrazione dei consumi e delle attività industriali a partire dal 2008 hanno sicuramente influito in maniera significativa sull’abbattimento delle emissioni. Bisogna aggiungere inoltre che l’Italia, nonostante i notevoli sforzi e gli investimenti effettuati, continua ad essere un grosso consumatore di combustibili fossili: carbone, petrolio e gas, prevalentemente importati dall’estero, incidono ancora per più dell’80% sul consumo primario di energia.
Avremmo potuto fare di più?
Per rispondere a questo quesito, proponiamo ai nostri lettori un viaggio indietro nel tempo fino al 1987, ipotizzando da quell’anno uno scenario diverso per il nostro Paese: uno scenario nel quale le due centrali nucleari allora in funzione, la “Enrico Fermi” di Trino Vercellese (260 MW) e quella di Caorso (860 MW) non vengono disattivate e rimangono quindi operative fino ai giorni nostri.
Apriamo una parentesi, ricordando che l’energia elettronucleare da fissione, pur non essendo “rinnovabile” in senso stretto, è una fonte che non emette direttamente gas serra, e come tale prende parte in maniera significativa alle politiche di abbattimento delle emissioni di molti Paesi. L’energia nucleare, inoltre, è una fonte programmabile, in grado di erogare energia in modo certo, controllato e continuo; per questa caratteristica, che la distingue dalle fonti rinnovabili intermittenti come l’eolico e il fotovoltaico, essa è ideale per costituire il carico di base, ovvero la quantità di potenza minima che è necessario fornire con continuità alla rete elettrica per soddisfare le richieste giornaliere del paese.
Torniamo alla nostra “Italia alternativa” del 2014, con le due centrali in funzione, perfettamente operative. Ipotizzando un fattore di capacità medio del 90%, quale sarebbe il loro contributo alla produzione elettrica complessiva? A quanto ammonterebbe la riduzione delle emissioni annue di gas serra, ipotizzando una contestuale diminuzione della produzione elettrica tramite centrali alimentate a carbone? I risultati di questo avventuroso esercizio di fantasia, ottenuti rielaborando i dati di Terna [2] sono molto interessanti.
Il quadro riepilogativo è indicato nella seguente tabella e riassunto in Figura 1: la produzione elettronucleare ammonterebbe a circa 8,8 TWh, con un contributo relativo del 3,2%. Si tratta, ad una prima analisi, di un valore piuttosto ridotto, dovuto ad un parco nucleare tutto sommato limitato per numero di reattori e per potenza installata.
Se però consideriamo la contestuale erosione della quota rappresentata dai combustibili fossili solidi (il carbone), emerge un dato estremamente significativo: tale quota sarebbe stata ridotta, nel 2014 “alternativo”, di oltre il 20%, scendendo da 43,5 TWh (dato Terna 2014) ad un ipotetico valore di 34,6 TWh.
Questo dato sarebbe equivalso ad una riduzione delle importazioni di carbone pari ad oltre 3 milioni di tonnellate annue.
Concentriamoci ora sull’interrogativo che più ci interessa: quale sarebbe stato l’impatto sulla riduzione delle emissioni? Dobbiamo considerare i fattori di emissione di anidride carbonica, ovvero i quantitativi di CO2 emessi in atmosfera da un impianto di produzione termoelettrica, per unità di energia elettrica lorda erogata. Secondo i dati più recenti pubblicati dall’ISPRA [3] e riportati in tabella 2, questo valore ammontava nel 2013, per i combustibili fossili solidi (nel nostro Paese prevalentemente carbone, più una piccola quota di lignite), a 883 g/kWh.
Tenendo buono questo valore anche per il 2014, si ricava che la produzione di 8,8 TWh di energia tramite impianti nucleari avrebbe contribuito a ridurre le emissioni per un totale di 7,8 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, pari al 7% dell’intero ammontare delle emissioni del 2014 relative al settore industriale per la produzione di energia [1].
Le conclusioni sono chiare e suggestive: se le centrali nucleari di Trino Vercellese e di Caorso avessero operato ininterrottamente dal 1987 ad oggi, con un fattore di capacità medio pari all’87% (leggermente inferiore rispetto all’assunzione fatta per un solo anno, tenuto conto degli inevitabili fermi di produzione per manutenzione/rifornimento su di un arco temporale così esteso), il contributo complessivo alla riduzione delle emissioni sarebbe stato pari a circa 210 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, più della metà del totale di tutte le emissioni italiane di gas serra del 2013.
Apriamo gli occhi, e torniamo alla realtà.
Riferimenti
[1] Italian Greenhouse Gas Inventory 1990-2013, ISPRA, Rapporto 231/2015, http://www.isprambiente.gov.it/files/pubblicazioni/rapporti/R_231_15_NIR2015.pdf
[2] Dati Storici, Terna, http://www.terna.it/it-it/sistemaelettrico/statisticheeprevisioni/datistorici.aspx
[3] Fattori di emissione atmosferica di CO2 e sviluppo delle fonti rinnovabili nel settore elettrico, ISPRA, www.isprambiente.gov.it/files/pubblicazioni/rapporti/R_212_15.pdf