di Olivier Bessire
Tutte le sostanze sono tossiche, solo la dose fa la differenza tra un veleno e un medicamento”
(Paracelso, XVI secolo)
Le normative di radioprotezione di tutto il mondo si basano sul principio ALARA (acronimo di “As Low As Reasonably Achievable”), la cui giustificazione teorica deriva dall’applicazione del Linear-Non-Treshold (LNT) Model. Secondo questo costrutto modellistico, si presuppone che i danni fisiologici causati dalle radiazioni ionizzanti crescano linearmente al crescere del livello della dose di radiazione assorbita, indipendentemente dal tempo di esposizione e senza alcuna soglia al di sotto della quale la radiazione risulti “sicura”.
Esistono numerosi studi scientifici che mettono in discussione la validità del modello LNT e nel corso degli anni si è più volte avanzata l’ipotesi di una revisione regolatoria che tenga conto delle evidenze sperimentali accumulate negli anni, come da noi raccontato in un nostro precedente articolo.
Uno dei fenomeni biologici più interessanti che potrebbero suffragare la non validità del modello LNT riguarda l’ormesi, un meccanismo di reazione dell’organismo in condizioni di basso dosaggio. Approfondiamo questa tematica facendo riferimento a un articolo pubblicato dall’ISPRA (ex APAT) dal titolo “Ormesi: la rivoluzione dose-risposta”.
L’ormesi può essere considerata una funzione adattativa caratterizzata da una risposta bifasica dose-dipendente, che si manifesta come conseguenza dell’esposizione a stimoli (Calabrese e Baldwin 2002). In sostanza, i meccanismi di controllo omeostatico e ormetico sono presenti in tutti i sistemi biologici, rispondendo autonomamente a cambiamenti di stato o ad alterazione di meccanismi regolati indotti da agenti esogeni (Stebbing, 1997).
L’ormesi o ormologosi, come fu chiamata dopo i primi esperimenti e la formulazione di modelli sperimentali, è l’effetto bifasico che una sostanza provoca, a seconda della dose somministrata.
H. Schulz intorno al 1887 fece alcuni esperimenti facendo reagire certe sostanze chimiche con il lievito. Poté osservare uno strano fenomeno, secondo il quale dapprima l’azione espletata era di crescita e di benessere, poi, all’aumentare della concentrazione, l’evento diveniva palesemente tossico.
Stimoli di debole intensità accelerano modestamente l’attività vitale, di media intensità la incrementano, di forte intensità la bloccano in parte, di elevatissima intensità la sopprimono completamente (legge detta di Arndt e Schulz).
Tra il 1920 e il 1930 le risposte bifasiche facevano parte della ricerca di base in tossicologia chimica e radiobiologia ed erano sostenute da grandi laboratori e grandi scienziati. Ma dagli anni ’30 il concetto di ormesi diventa marginale e lo rimane fino al nuovo secolo. La più importante ragione pratica del rifiuto del concetto dell’ormesi è dovuta al fatto che la tossicologia, nella sua fase storica, ha avuto maggiore interesse per gli effetti di alte dosi.
La prima vera riapertura di prospettive per il concetto di ormesi si è avuta negli anni ’80 quando l’EPA (U.S. Environmental Protection Agency) accettò di applicare un modello di stima del rischio per le sostanze cancerogene o per i siti contaminati che rispondesse alla domanda: quanto bassa deve essere una dose per essere veramente non pericolosa oppure quanto pulito deve essere un sito per essere veramente pulito? (Calabrese, 2002).
La risposta ormetica può essere tanto indotta direttamente (DSH, Direct Stimulation Hormesis), quanto essere il risultato di processi biologici di compensazione, conseguenti ad un iniziale disordine nell’omeostasi (OCSH, Over Compensation Stimulation Hormesis). L’ormesi da sovracompensazione (OCSH) è una risposta adattativa a bassi livelli di stress o di danno che producono un aumento di risposta di alcuni sistemi fisiologici per un tempo definito.
Le caratteristiche concettuali chiave dell’OCSH sono lo scompenso dell’omeostasi, la modesta sovracompensazione, il seguente ripristino dell’omeostasi e la natura adattativa del processo. La variazione omeostatica, nel fenomeno dell’ormesi, non è limitata alle alterazioni a tossicità acuta in cui predominano cambiamenti macromolecolari, ma potrebbe essere l’effetto cumulativo di tutti quei fenomeni che vanno dalle risposte generali allo stress, fino ai cambiamenti che includono limitati danni macromolecolari.
L’ormesi rappresenta il vantaggio ottenuto dall’individuo attraverso le risorse inizialmente e principalmente allocate per attività di riparazione, ma in modesto eccesso rispetto a ciò che serve per la riparazione immediata del danno. Questo processo può anche preparare l’organismo a rispondere a danni derivanti da successive esposizioni di maggiore entità, per periodi di tempo limitato.
La limitata sovracompensazione può soddisfare due funzioni: assicura che la riparazione sia effettuata adeguatamente e in maniera tempestiva, e che vi sia protezione contro insulti successivi e anche più pesanti. Il valore di quest’ultima funzione è generalmente valutato negli studi tossicologici della risposta adattativa in ambito chimico e radioattivo. In queste situazioni, una bassa dose somministrata prima di un dosaggio più elevato e pericoloso dello stesso agente, spesso riduce l’effetto tossico della successiva maggiore esposizione. Tuttavia, nel caso in cui non si verifichi un’ulteriore esposizione, l’impiego sovrastimato delle risorse contro il danno iniziale (come in una risposta per sovracompensazione) può essere utilizzato per altre funzioni utili (ad esempio, contribuire ad una crescita vegetativa addizionale). Questo, insomma, è ciò che viene misurato tipicamente negli studi che valutano l’ormesi.
Anche per le radiazioni ionizzanti è stata riscontrata risposta ormetica anche se di difficile quantificazione in particolare nell’ambito di ricerche epidemiologiche, come nel caso dell’incidenza di cancri al polmone per effetto del radon (Rn). L’ormesi si può definire, in questo caso, come la capacità da parte di cellule e tessuti di sviluppare una radioresistenza a dosi di una certa intensità, dopo aver subito l’esposizione a basse dosi.
Sebbene il modello dose risposta cosiddetto “a soglia” sia diffusamente considerato il modello dominante in tossicologia, in realtà numerosi studi dimostrano che il modello della risposta ormetica bifasica sia predominante (Calabrese e Baldwin, 2003).
Sulla base delle conoscenze attuali, è verosimile che l’ormesi avrà un impatto maggiore sull’ecotossicologia; due appaiono essere i più importanti “spostamenti di ottica”: il riconoscimento della necessità di uno speciale e più attento trattamento, in fase sperimentale, della curva dose-risposta e l’identificazione di una NOEC (No Observed Effect Concentration) che tenga conto della “tossicità mascherata” dell’ormesi.
Accettare l’ormesi nelle problematiche ambientali potrebbe avere enormi conseguenze sotto molti punti di vista, non ultimo quello economico; essendo le spese, effettuate normalmente per ridurre le esposizioni al fine di preservare la salute pubblica, basate sull’assunto che il modello sia “lineare” (LNT: Linear No-Threshold) o “a soglia” (applicando il “principio di precauzione”).
Se l’ormesi fosse dimostrata come generale e inequivocabile, i modelli di stima del rischio lineari potrebbero essere bypassati. Tuttavia, accreditare la risposta ormetica è difficile; tossicologia ed ecotossicologia sono strettamente connesse alle attività di agenzie governative nazionali e internazionali, che basano i controlli su normative precise e limiti tabellari ben definiti, che dovrebbero essere profondamente modificati a seguito dei nuovi studi, inclusa la rimozione del concetto di soglia nelle procedure di “risk assessment”.
Il riconoscimento della risposta bifasica non potrà che comportare significativi miglioramenti nei metodi di ricerca in tossicologia, nelle procedure di “risk assessment”, ma anche nei metodi di chemioterapia, nello sviluppo dei farmaci oltre a chiarire processi fondamentali della vita.
*ERA: Ecological Risk Assessment.