La notte tra venerdì 11 e sabato 12 dello scorso mese un terremoto di magnitudo 6.5 con epicentro al largo della città di Namie, distretto di Futaba, Giappone [1], ha messo in allerta i tecnici della centrale di Fukushima-Daiichi. Tuttavia, l’allarme tsunami è rientrato in appena due ore: una prima onda di circa 20 centimetri è arrivata meno di un’ora dopo la scossa a Ishinomaki, città costiera a nord di Sendai, mentre altre onde di pochi centimetri hanno toccato alcuni punti delle prefetture di Miyagi, Iwate e Fukushima. La società Tepco ha subito dichiarato che «nessuna nuova anomalia alle strutture è stata segnalata nell’immediato», ed ha dato successivamente conferma di tale dichiarazione con un comunicato stampa ad hoc [2].
La notizia ha prodotto una certa eco nei media a livello internazionale, ma anche tenuto conto dell’importanza di allarmi di questo tipo, in realtà le preoccupazioni di Tepco sono ben altre e riguardano il lavoro senza sosta che richiede il monitoraggio ed il contrasto delle perdite di acqua contaminata, il trasferimento degli elementi di combustibile e tutte le operazioni in corso per il mantenimento in sicurezza dei reattori incidentati.
Gli sforzi per il raggiungimento di una “situazione sotto controllo” non procedono senza intoppi: ritardi e problemi tecnici continuano ad abbondare e confondere. Con ripercussioni su ampia scala, vale a dire sull’intera “flotta” delle centrali nucleari giapponesi, che è attualmente ancorata nel “Porto del Forse”, in condizioni di non-operatività, con tutti i costi che ne conseguono.
A proposito di confusione, è difficile non notare come rimbalzino le notizie in conferme e smentite tra i servizi dell’ente pubblico radiotelevisivo NHK, gli articoli del Japan Times, i comunicati della Tepco e le strigliate dell’Autorità per la Regolamentazione Nucleare (NRA).
Per chi volesse approfondire l’argomento invitiamo a non trascurare mai i report ed i comunicati ufficiali, che forniscono un aggiornamento continuo qui, qui e qui.
Per chi considerasse questi dati eccessivamente “di parte” consigliamo un interessante articolo apparso su Popular Mechanics, dove Andrew Karam, esperto di lungo corso in radioprotezione, racconta la sua “spedizione” in Giappone, durante la quale nella primavera del 2011 ha effettuato diverse misure della radioattività nei pressi della centrale di Fukushima-Daiichi poco dopo l’incidente [3].
Il “reportage” di Karam, partendo dal presupposto che «non tutte le misure di radiazioni sono state create uguali», offre molti dati messi a confronto ed interessanti spunti di riflessione.
L’articolo è datato, nel senso che essendo comparso il 10 maggio 2011 non fornisce un aggiornamento; tuttavia quanto vi è riportato è ancora valido per approfondire il quadro della situazione. In particolare l’autore dichiara che grazie agli strumenti di cui si era dotato ha potuto constatare che la contaminazione da I-131 (isotopo radioattivo dello Iodio) era già allora ad un livello così basso da non essere rilevabile (emivita: circa 8 giorni), mentre era ovviamente persistente quella da Cs-137 e Cs-134 (isotopi radioattivi del Cesio). Inoltre, il lavoro di raccolta dati si è svolto in circa due settimane in un raggio di più o meno 20 chilometri dalla centrale. In questo arco di tempo e comprendendo il viaggio di andata e ritorno in aereo, l’ammontare dell’esposizione cui è stato sottoposto il dott. Karam è risultato pari a 12 mrem (i.e. 12 millirem ─ il rem è l’unità di misura della dose tipica del sistema in uso negli Stati Uniti: 1 millirem = 10 microsievert [4]).
Ora, quanto sin qui esposto ci fornisce un utile pretesto per parlare di un “terremoto” di ben altro genere, che sta minando le fondamenta di uno dei principali “costrutti a sfavore” dell’utilizzo della tecnologia nucleare: il modello LNT (Linear No-Threshold model), ossia l’Ipotesi Lineare Senza Soglia [5]. Ipotesi secondo la quale vige una proporzionalità diretta tra dose e danno da radiazioni – sottintendendo tipicamente un danno irreparabile ‒ qualsiasi sia la dose, la sorgente ed il corpo esposto (inteso come oggetto fisico).
L’U.S. Environment Protection Agency (EPA) è in procinto di aumentare in modo considerevole il “livello di minaccia da radiazioni”, vale a dire il livello al quale le radiazioni divengono una seria minaccia per la salute delle persone eventualmente esposte [6]. Attualmente il threat level è fissato, ad esempio, a 25 mrem/anno di dose equivalente alla popolazione per l’esposizione di tutto il corpo in situazioni ordinarie, ovvero pianificate, secondo lo standard della 40 CFR 190, datato 1977 [7]. Indiscrezioni fanno pensare che l’aumento potrebbe essere di 350 volte, ossia che l’asticella venga presto fissata a grossomodo 9 o 10 rem/anno nel caso di cui sopra.
Si noti che questi valori non tengono conto del fondo naturale di radioattività, che varia da zona a zona e che sarebbe pari a 25 mrem/anno, ad esempio, solo se si vivesse in una barca in mezzo all’oceano, per effetto dell’esposizione ai raggi cosmici provenienti dallo spazio [8]: questi valori rappresentano semplicemente una dose aggiuntiva, rispetto a quella naturale, e considerata come tollerabile indipendentemente dal valore medio che caratterizza il luogo in cui si vive.
Si noti, inoltre, che benché il modello utilizzato sia quello “senza soglia”, 25 mrem/anno costituiscono una sorta di “soglia di ragionevolezza”, per quanto bassa (e per molti ingiustificata/irragionevole). Questo perché nella pratica le linee guida per l’applicazione di suddetto modello hanno sempre raccomandato l’utilizzo del principio ALARA (As Low As Reasonably Achievable) [5]. La questione è, dunque, che cosa in base alle evidenze scientifiche sia da reputarsi ragionevole.
Si noti, infine, che per i “lavoratori esposti”, ossia per chi normalmente opera in particolari settori dell’industria e della medicina nucleare, il limite è già fissato negli Stati Uniti a 5000 mrem/anno (25000 mrem/anno in casi di emergenza). (In Italia tale limite, per i lavoratori esposti cosiddetti “di categoria A”, è pari a 2000 mrem/anno (20 mSv/anno) [9].)
L’innesco per il cambiamento è stato il riconoscimento da parte del Governo di due dati di fatto. Il primo è la realtà del terrorismo nucleare. Il Government Accounting Office (GAO) ha insistito affinché l’EPA stabilisca limiti realistici in conformità con le ultime scoperte scientifiche. Come si può leggere nel “Report to the Chairman, Committee on Homeland Security and Governmental Affairs, U.S. Senate: Nuclear Terrorism Response Plans” del settembre 2013 [http://gao.gov/assets/660/658336.pdf], con i limiti attualmente in vigore, l’esplosione di una piccola “bomba sporca” (i.e. bomba convenzionale contenente materiale radioattivo) in una città americana comporterebbe l’evacuazione di centinaia di migliaia di persone. Il secondo è l’impatto reale della contaminazione radioattiva post incidente di Fukushima sulla salute delle persone. Dopo la catastrofe circa 130.000 persone sono state portate via a forza dalle loro abitazioni o dai luoghi di cura in cui si trovavano dietro un ordine di evacuazione emesso in conformità con gli standard di radioprotezione cautelativi basati sul modello LNT. Questo ha provocato la morte di circa 1600 persone: qualche centinaia di uomini e donne anziani e/o malati, che non sono sopravvissuti allo stress ed agli inconvenienti del trasferimento d’urgenza, e diverse decine di persone sane che hanno trovato nel suicidio l’unico sollievo ad una situazione opprimente dovuta in parte al terrore delle radiazioni ed in parte allo sconvolgimento delle abitudini di vita [10].
Riportiamo questi dati con il massimo rispetto per le vittime e per il dolore causato dalla loro morte, ma anche con l’imbarazzo di chi stenta a credere che si possa morire per la paura delle radiazioni e dei loro effetti. Nessuna di queste persone aveva ricevuto una dose tale da mettere seriamente in pericolo la propria salute nell’immediato come nel futuro [11]. In parole povere un numero impressionante di anziani e/o malati è morto nel giro di poche settimane per evitare il rischio remoto di sviluppare qualche forma di tumore in futuro (o chi sa quale terrificante mutazione fantascientifica). Era davvero impensabile fornire loro adeguate cure ed assistenza in loco, evitando anche la contaminazione radioattiva all’esterno con la permanenza in strutture chiuse e controllate?
Attualmente si può ancora leggere sul sito web dell’EPA che «non esiste alcuna solida base per stabilire un livello “sicuro” di esposizione alle radiazioni, oltre al fondo naturale. Per quanto riguarda gli effetti stocastici, diverse sorgenti emettono radiazioni molto al di sotto dei livelli naturali. Questo rende estremamente difficile isolare ed identificare i loro effetti stocastici» [12]. In verità, evidenze scientifiche a supporto dell’esistenza di un livello sicuro di esposizione (i.e. con rischio trascurabile, o meglio con rischio di danno biologico non distinguibile da quello associato all’esposizione al fondo di radioattività naturale o all’azione di altri agenti chimici o fisici) sono state raccolte in numerosi studi [13]. Ed è proprio a partire da questi lavori, e dalle considerazioni raccolte negli ultimi documenti dell’UNSCEAR, che si muove la modifica in corso [6].
In pratica non si tratta di una vera e propria “rivoluzione copernicana”, in quanto l’agenzia si sta adoperando per spostare in alto l’asticella del livello di guardia, non per un rigetto tout-court del modello LNT. Questo, però, ha messo in allarme rosso quanti basano la propria ostilità all’utilizzo dell’energia atomica sull’assunto che non esiste una “soglia di sicurezza totale”. Assunto a partire dal quale si vuole dedurre che qualsiasi dose è in qualche modo nociva.
Ed ecco svelata l’origine del titolo volutamente provocatorio di questo post: le carte che ballano alla base del castello sono i regolamenti che riportano, tra le altre cose, i vincoli per la gestione in sicurezza degli impianti di tutta la filiera nucleare per l’intero ciclo “dalla culla alla tomba”. Riconoscere che tali vincoli sono stati sino ad ora frutto di una sovrastima eccessiva dell’incidenza di effetti stocastici dannosi per l’uomo significa anche riconoscere che alcuni mantra del tipo “ogni piccola radiazione uccide”, suonano quantomeno come una nota stonata.
Naturalmente una revisione dei limiti in questione avrebbe anche ripercussioni economiche notevoli e non sono pochi quelli che stimano in decine di miliardi di dollari (centinaia a livello mondiale) i costi di un’interpretazione pessimistica e cautelativa del rischio correlato alle pratiche che prevedono l’uso di materiali radioattivi.
Ma quello che ci preme evidenziare qui è l’importanza della fonte da cui scaturisce l’esigenza di tali limiti, ossia l’importanza della salute degli uomini e dell’ambiente. Su questo dovremmo essere tutti d’accordo.
È, dunque, quantomai auspicabile che la riflessione su di un argomento così complesso e delicato si faccia sempre più attenta e che si eviti di miscelare nel modo scorretto scienza e politica.
Due anni fa Theodore Rockwell [14] ha scritto qualcosa a questo proposito, nel suo stile sempre forte e combattivo ma non perentorio. Si tratta dell’introduzione ad una particolare pubblicazione dell’American Nuclear Society intitolata “President’s Special Session: Low-Level Radiations and Its Implications for Fukushima Recovery”. È un’introduzione ma noi ve la proponiamo come conclusione su cui meditare:
«Fukushima ha dimostrato che l’ossessiva volontà di ridurre quelle dosi di radiazione che sono già innocue non solo non ha portato ad alcun miglioramento nella sicurezza, ma ha di fatto causato una quantità senza precedenti di sofferenza umana, altrimenti del tutto evitabile. Per di più, rendendo i controlli via via più severi e con limiti sempre più stringenti, l’impressione che si trasmette è che si continui a scoprire che finora non eravamo stati sufficientemente al sicuro. Quale altra ragionevole conclusione si potrebbe trarre?»
Note:
[1] per la precisione 135 km a est-sudest di Namie; coordinate: 37.040° N 142.425° E; profondità 10.5 km; orario 21:21:59 UTC+02:00 ─ dati della U.S. Geological Survey.
[2] http://www.tepco.co.jp/en/press/corp-com/release/2014/1238987_5892.html
[3] qui l’articolo e qui due righe su chi è Andrew Karam.
[4] nel Sistema Internazionale di Unità di Misura (S.I.) la dose equivalente si misura in sievert (Sv). Rispetto al rem, vecchia unità CGS ancora ampiamente adottata negli Stati Uniti, vale la seguente formula di conversione: 1 rem = 0.01 Sv.
Per maggiori dettagli sulla radioattività, la definizione di dose e gli effetti biologici delle radiazioni, si faccia riferimento ai nostri articoli qui, qui e qui.
[5] la voce wikipedia è abbastanza chiarificatrice: http://it.wikipedia.org/wiki/Modello_Linear_no-threshold (ancor meglio la pagina in inglese ─ molto interessante soprattutto il paragrafo intitolato “Mental health effects”, che richiama gli argomenti trattati nel presente post). È importante sottolineare che non si tratta, come erroneamente viene spesso riportato, di una teoria scientifica, ma di una semplice ipotesi, basata su alcuni dati sperimentali raccolti ad un certo valore di esposizione e con un certo tasso di dose equivalente con successiva estrapolazione a più bassi/alti livelli. Il problema principale di tale modello, oltre al fatto di non tenere in alcun conto il tempo di esposizione, è che mentre l’estrapolazione ad alti livelli è supportata da evidenze scientifiche sperimentali e statistiche, quella a bassi livelli non lo è. Da qui l’affiancamento alla “filosofia ALARA”.
Il modello risulta utile – dimenticando i costi economici ‒ per quanto concerne lo studio e la costruzione di sistemi, dispositivi e barriere con approccio radio-protezionistico cautelativo; rimane, però, senz’altro vero che, se lo si utilizza per il calcolo degli effetti sulla popolazione a seguito di contaminazioni post-incidente o dosi collettive di vario genere, si ottiene come risultato principale quello di indurre allarmi ingiustificati (le raccomandazioni dell’International Commission on Radiological Protection a tal proposito sono molto chiare).
Esistono, inoltre, alcuni fondati sospetti sulla nascita di tale ipotesi (si veda ad esempio la seguente intervista: http://www.atomiperlapace.it/articoli/energia-nucleare/44-the-lnt-fraud).
Per approfondire l’argomento si consiglia di partire con la lettura di: http://www.associazioneitaliananucleare.it/wp-content/uploads/2013/11/Esposizione-a-basse-dosi-di-radiazioni-ionizzanti.pdf
[6] qui di seguito alcuni link con dettagli sulla campagna di consultazione pubblica: http://www.regulations.gov/#!documentDetail;D=EPA-HQ-OAR-2013-0689-0001
http://www.epa.gov/radiation/laws/190/
[7] «The annual dose equivalent does not exceed 25 millirems to the whole body, 75 millirems to the thyroid, and 25 millirems to any other organ of any member of the public as the result of exposures to planned discharges of radioactive materials, radon and its daughters excepted, to the general environment from uranium fuel cycle operations and to radiation from these operations.»
[http://www.epa.gov/radiation/docs/laws/40cfr190/40cfr190text.pdf]
Per chi non lo sapesse il “CFR”, Code of Federal Regualtions è il codice delle norme emanate dall’Esecutivo e dalle Agenzie Federali degli Stati Uniti d’America e pubblicate nel Federal Register, che è l’equivalente americano della Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.
[8] tenendo conto anche delle radiazioni naturali di origine terrestre (i.e. provenienti da isotopi radioattivi normalmente presenti nella crosta terrestre, nei materiali da costruzione, nell’acqua, negli alimenti, ecc.) la media mondiale della dose equivalente da fondo di radioattività naturale è pari a 240 mrem/anno ─ ovvero circa 10 volte superiore.
[http://www.unscear.org/docs/reports/2008/09-86753_Report_2008_Annex_B.pdf]
[9] per la precisione, un lavoratore esposto di categoria A non può superare nessuno dei seguenti valori annui: 20 mSv di dose equivalente complessiva; 150 mSv per il cristallino; 500 mSv per la pelle, le mani, gli avambracci, i piedi e le caviglie. I limiti per il pubblico sono invece: 1 mSv di dose equivalente complessiva; 15 mSv per il cristallino; 50 mSv per la pelle, le mani, gli avambracci, i piedi e le caviglie. Qui di seguito il link al testo del Decreto Legislativo 230/95 (con successive modifiche ed integrazioni) che disciplina in Italia la radioprotezione per i lavoratori e la popolazione:
http://www.lavoro.gov.it/SicurezzaLavoro/Documents/DLgs_230_modificato.pdf
[10] ecco un paio di articoli dove se ne è parlato:
[11] «To date, there have been no health effects attributed to radiation exposure observed among workers, the people with the highest radiation exposures. To date, no health effects attributable to radiation exposure have been observed among children or any other member of the population; (…) A system was established on 20 May 2011 for the management of radiation exposures and medical monitoring of occupationally exposed people involved in dealing with the emergency situation. As of 10 March 2012, none of the six deaths noted since 11 March 2011 had been attributed to exposure to ionizing radiation; (…) Only a few studies have been published on exposure to non-human biota arising from the releases of radionuclides in which dose rates to biota have been estimated explicitly. Those studies show somewhat contrasting results. The highest exposures of wildlife appear to be associated with the marine environment.»
[Report of the United Nations Scientific Committee on the Effects of Atomic Radiation ─ Fifty-ninth session (21-25 May 2012) ─ General Assembly Official Records Sixty-seventh session Supplement no. 46, V.12-55385, pp. 4-5]
[12] «There is no firm basis for setting a “safe” level of exposure above background for stochastic effects. Many sources emit radiation that is well below natural background levels. This makes it extremely difficult to isolate its stochastic effects.»
[ http://www.epa.gov/rpdweb00/understand/health_effects.html ]
[13] alcune pubblicazioni le abbiamo già linkate qui, alla voce “Per consultare le fonti ed approfondire”.
[14] T. Rockwell, ingegnere nucleare, è riconosciuto come uno dei pionieri di questa tecnologia negli Stati Uniti. Dopo essersi distinto in diversi campi ha continuato anche in pensione a fornire il prezioso contributo della sua esperienza attraverso varie consulenze e numerosi interventi gratuiti ed appassionati a favore del continuo progresso dell’industria nucleare per usi civili. È morto a Chevy Chase, nella sua casa nel Maryland, il 31 marzo 2013 all’età di 90 anni.
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