Verde sì, ma non per tutti

[viaggio tra scorie tossiche, radioattive e non, di cui raramente si parla]

Baotou è una città della Mongolia interna, regione autonoma della Cina. Il nome significa “città del cervo”, ed è probabilmente sconosciuto ai più.
Le popolazioni nomadi mongole si insediarono nell’area perché costituiva un’apprezzabile area agricola del bacino del Fiume Giallo. Più tardi, nell’Ottocento, nacque la città vera e propria, che nel secolo scorso si affermò come polo industriale, pur di modeste dimensioni, contando negli anni ’50 meno di 100 mila abitanti.
Oggi Baotou di abitanti ne conta più di 2 milioni e mezzo. Perché, vi chiederete?
Per capirlo non servirà recarsi a Baotou, ma intraprenderemo un viaggio stando comodamente seduti nelle nostre case, magari sfogliando questo articolo con il tocco grazioso delle dita sul touch screen del nostro IPad. La fortuna – o forse sarebbe meglio dire la sfortuna – della Città del Cervo risiede infatti nelle nostre case e nelle nostre città occidentali.
Gran parte degli oggetti elettronici che quotidianamente usiamo hanno tra i loro componenti fondamentali degli elementi chimici noti come terre rare, che comprendono i 15 lantanidi, più altri due elementi della tavola periodica.

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Le terre rare trovano applicazione nei componenti hardware dei computer, dei dispositivi audio auricolari, degli smartphone e tablet, delle lampadine a fluorescenza, quelle a basso consumo che tutti abbiamo nelle nostre case, e nei pannelli fotovoltaici. Tra di esse, in particolare, il cerio (Ce) è utilizzato per rendere lisci e trasparenti i touch screen dei nostri dispositivi informatici. Il neodimio (Nd) è anch’esso usato nella colorazione del vetro e nella produzione di laser, ma trova la sua principale applicazione in componenti che necessitano forti campi magnetici e strutture leggere, come le turbine eoliche ed i motori delle auto elettriche. Dall’Hi-Tech alle energie rinnovabili e “pulite”, le terre rare giocano dunque un ruolo fondamentale.
A dispetto del loro nome, le terre rare non sono neppure poi così rare: nella crosta terrestre c’è tanto cerio quanto rame. Certo, i depositi minerari dove si trovano le terre rare non sono egualmente distribuiti sul pianeta. Circa il 36% si trova in Groenlandia, il 32% nella miniera di Baiyun’ebo in Cina, il 18% in Australia e “briciole” negli Stati Uniti e in Malawi. Baiyun’ebo (o Bayan Obo) si trova proprio nella prefettura di Baotou, la Città del Cervo.

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Andamento della produzione mondiale di terre rare (www.geology.com)

L’estrazione delle terre rare, che si trovano in natura in conglomerati con altri elementi, è tutt’altro che banale. Il cerio è ad esempio prodotto frantumando le rocce e dissolvendole in acido solforico e nitrico, un processo industriale che genera un’enorme quantità di rifiuti tossici [1] e radioattivi[2].

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Un lavoratore in una miniera di terre rare in Cina (Reuters)

La Cina insomma è assurta al ruolo di leader mondiale di un processo di produzione industriale di elevatissimo impatto ambientale, un processo che è ragionevole supporre nessuna opinione pubblica dell’Occidente green e Hi-Tech avrebbe accettato entro i propri confini nazionali.

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Il lago tossico di Baotou (© Liam Young/Unknown Fields)

Tutto questo ha fatto di Baotou una metropoli di due milioni e mezzo di abitanti, che vivono sulle sponde del “lago della morte”, in quella che un tempo era una verde area agricola e che oggi è un’enorme distesa di liquami maleodoranti di zolfo. “Sembra l’inferno sulla terra”, ha dichiarato Liam Young, membro di Unknown Field Division, che ha realizzato un’inchiesta e questo video del lago tossico di Baotou.

Nei campioni di argilla raccolti dalla sponda del lago sono stati riscontrati valori di radioattività ben superiori alla norma [2] (i.e. al valor medio atteso del fondo di radioattività tipico di quei territori – per chi non lo sapesse, le terre rare si portano appresso dalla crosta terrestre gli elementi radioattivi di cui questa è zeppa).
Con l’argilla raccolta Unknown Field Division intende costruire dei vasi in stile Ming, di grandezza proporzionale alla quantità di rifiuti tossici prodotta dalla manifattura dei nostri apparecchi tecnologici, al fine di esibirli in una mostra di sensibilizzazione in Occidente.
Un progetto che forse ci aiuterà ad interrogarci sulle nostre scelte, ma non rifarà di Baotou la “città dei cervi”. A meno che non si impieghino presto e massicciamente tecnologie e risorse per risanare lo scempio in corso.

Note:

[1] Le terre rare sono tipicamente un prodotto secondario dell’attività mineraria, che nel caso di Baotou è indirizzata all’estrazione di ferro. Lo scarto totale del processo di estrazione può arrivare al 90% del volume. Gli scarti prodotti a Bayan Obo ammontano a 10 milioni di tonnellate all’anno, e il loro deposito occupa un’area di 11 chilometri quadrati. Tale deposito ammontava nel 2011 a 150 milioni di tonnellate, 100 volte maggiore rispetto al deposito di scarti della fabbrica di alluminio di Ajka (Ungheria), che nel 2010 collassò, rilasciando oltre 600 mila metri cubi di fango tossico nell’ambiente circostante.

[2] L’attività estrattiva e di raffinazione a Bayan Obo causa il rilascio in superficie ed in atmosfera anche di radionuclidi, in particolare il torio (Th) e i suoi prodotti di decadimento. Diversi studi hanno evidenziato l’accumulo di sostanze radioattive nel suolo e nella vegetazione soprattutto nell’area circostante il deposito. Si veda ad esempio questa pubblicazione della IAEA. Tuttavia, il calcolo della dose assorbita e la sua entità rispetto al fondo naturale è complesso, ed esula dagli scopi di questa breve “escursione”.

Per saperne di più:

http://www-pub.iaea.org/MTCD/publications/PDF/Pub1326_web.pdf (pp. 197-221)

Oko-Institut e.V. (2011). Environmental aspects of rare earth mining and processing. In Study on Rare Earths and Their Recycling.

US Environmental Protection Agency (2012). Rare Earth Elements: A Review of Production, Processing, Recycling, and Associated Environmental Issues, EPA 600/R-12/572 http://www.epa.gov/ord

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