Fonti energetiche a confronto

Aggiornamento 28/10/2025: abbiamo pubblicato sul nostro canale Instagram alcuni quiz sulle tematiche trattate da questo articolo. Trovate i quesiti e le relative risposte scorrendo fino in fondo alla pagina. Se siete interessati alle puntate precedenti dei nostri quiz, potete leggere gli articoli correlati quiquiquiquiquiquiquiquiqui e qui.

Tempo di lettura: 25 – 50 m
Difficoltà: media-semplice
Pubblico: rivolto a tutti (non sono necessarie conoscenze pregresse)

Indice dei capitoli

  1. Premessa
  2. Il confronto in breve
  3. Il ruolo dell’energia elettrica
  4. Life Cycle Impact Assessment (LCIA)
  5. Capacity Factor
  6. Dispacciabilità
  7. Costi di produzione del kWh
  8. Conclusioni

1. Premessa

“Qual è la fonte energetica migliore in assoluto?” 

L’articolo che state per leggere nasce da questo interrogativo particolarmente diffuso, e che siamo sicuri anche voi vi sarete posti almeno una volta nella vita. Tuttavia ogni tentativo di costruire una classifica delle fonti energetiche introduce – per quanto si cerchi di essere oggettivi – assunzioni eccessivamente semplicistiche ed elementi di arbitrarietà.  Rispondere al quesito esula pertanto dall’obiettivo di questo documento, che tenta semmai di evidenziare quanto il tema sia complesso e sfaccettato.  

Siamo inoltre consci del fatto che, data la complessità dell’argomento, saranno presenti delle semplificazioni: ci siamo impegnati nel renderle il più possibile evidenti e nel riassumere la complessità nel modo più oggettivo possibile. 

Inoltre ci teniamo a fare un’ulteriore nota: nel corso dell’articolo capiterà spesso di parlare di fonti rinnovabili intermittenti (fotovoltaico ed eolico) in confronto all’energia nucleare da fissione. Questo non perché crediamo che queste tecnologie siano mutualmente esclusive o in competizione tra loro, al contrario cercheremo di argomentare quanto questa contrapposizione spesso apparentemente inconciliabile sia in realtà artefatta.  Il  confronto nasce, però, spontaneamente per varie motivazioni:

  • prima di tutto perché escludendo le fonti fossili per le loro esternalità negative (inquinamento ed emissioni di gas serra), inevitabilmente ciò che rimane sono le diverse fonti rinnovabili ed il nucleare;
  • perché nonostante siano fonti energetiche che hanno in comune la qualità di essere a basse emissioni di gas serra, presentano tuttavia altre grosse differenze che è importante vengano analizzate con equilibrio e oggettività;
  • infine perché proprio nel dibattito pubblico sulla transizione energetica verso un mix a basse emissioni, c’è di fatto uno scontro fra chi cerca una soluzione “100% rinnovabili” escludendo a priori il nucleare, e chi invece ritiene sia necessario considerare tutte le opzioni tecnologiche attualmente a disposizione, senza preclusioni ideologiche. 

2. Il confronto in breve

Va innanzitutto detto che molti dei parametri tecnici utilizzati per effettuare il confronto dipendono in parte da variabili non intrinsecamente collegate alla fonte di energia, ma collegate a fattori esterni, tipici del Paese / Area Geografica (economia, geografia, clima…) al cui interno si effettua il confronto e, per questo motivo, ogni comparazione va sempre contestualizzata.

Ci sono però due parametri particolarmente rilevanti e di facile lettura che danno un quadro immediato del confronto: la quantità di gas serra emessi (impatto ambientale) e il numero di decessi (impatto diretto sull’uomo) causati da ciascuna fonte energetica.

Il grafico di Figura 1 elaborato dalla ricercatrice Hannah Ritchie per il progetto di ricerca “Our World in Data” [1] riassume efficacemente il confronto tra le diverse fonti di energia in merito a questi due indicatori. Vengono infatti mostrati il tasso di mortalità indotto da incidenti e inquinamento atmosferico per unità di energia elettrica prodotta (decessi/TWh), e il tasso di emissione di gas serra (GHG), sempre normalizzato all’unità di elettricità prodotta (tCO2e/GWh).

Fig.1 – Le fonti di energia, le più sicure e le più pulite. Elaborazione Hannah Ritchie, 2020 [1].

Come si può vedere dai due grafici, solare, eolico e nucleare (per cui sono considerate le vittime dirette e indirette degli incidenti di Chernobyl e di Fukushima) sono di gran lunga le fonti di energia più sicure e pulite dal punto di vista delle emissioni climalteranti, mentre l’idroelettrico sconta le vittime di incidenti come quello del Vajont [2] e soprattutto della diga di Banqiao in Cina [3] negli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso. 

In ogni caso dovrebbe bastare questo confronto per fugare ogni dubbio circa l’utilità dello sfruttamento dell’energia nucleare al pari delle fonti rinnovabili, ma nel seguito dell’articolo andremo a trattare anche altri importanti parametri di confronto per avere una visione più completa del problema.
Per maggiori dettagli sul tema della sicurezza nelle centrali nucleari, rimandiamo ad un altro articolo sul nostro sito e a un approfondimento circa un caso di studio particolarmente discusso nel nostro Paese (la centrale slovena di Krško). 

3. Il ruolo dell’energia elettrica

Quasi tutto ciò che ci circonda e di cui facciamo uso quotidianamente, senza nemmeno rendercene conto, necessita di energia per funzionare. Uno dei metodi più comuni per ottenere energia consiste nel “bruciare” (ossia far reagire chimicamente) qualche sostanza: l’uomo usa cibo (zuccheri, grassi), le caldaie usano gasolio o metano, gli aerei kerosene. L’energia chimica liberata dalla combustione viene poi trasformata in un’altra forma di energia utilizzabile dall’uomo (meccanica, termica…).

Nella società umana moderna una delle forme di energia più comunemente usata è l’elettricità, che viene generata, trasportata e messa a disposizione dei consumatori finali. Va però anche ricordato che, ad oggi, circa il 10% della popolazione mondiale non ha ancora accesso all’elettricità e in alcune regioni dell’Africa e dell’Asia tale percentuale sale fino al 90% [4,5].

Un’interessante prospettiva circa il legame tra l’utilizzo di energia elettrica e lo sviluppo della società viene offerta dal grafico di Figura 2 che riporta sull’asse orizzontale i kWh pro capite consumati nei vari Paesi e sull’asse verticale l’indice di sviluppo umano (HDI) come definito dal Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite [6]. 

Fig.2 –  Relazione tra consumo energetico e Indice di Sviluppo Umano (HDI). Elaborazione Nazioni Unite, 2017 [6].

Questo grafico richiederebbe una trattazione a sé, ma già ad una prima osservazione ci permette di capire che, se da una parte ad un basso consumo di energia elettrica tende a corrispondere – in media – un basso HDI, Paesi con un indice HDI intorno a 0,9 (paragonabile a quello dell’italia) presentano consumi di energia elettrica procapite estremamente variabili, da 5000 kWh/p a 30000 kWh/p. Questa differenza è dovuta principalmente a due aspetti: da un lato il livello di elettrificazione raggiunto dai Paesi (ad esempio nelle industrie, nei trasporti o nel riscaldamento domestico), dall’altro il grado di ottimizzazione dei consumi nei Paesi stessi. E’ comunque evidente che ad indici HDI elevati tenda a corrispondere un aumento dei consumi elettrici pro capite.

E’ importante sottolineare come l’elettricità copra al momento, a livello globale, solamente il 20% circa dei consumi energetici finali. Questo valore è tuttavia destinato a crescere nei prossimi decenni: l’elettrificazione progressiva dei consumi è unanimemente considerata una delle strategie chiave – assieme allo sviluppo di tecnologie di produzione elettrica a basse emissioni di gas climalteranti – per il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione e per la riduzione della dipendenza dai combustibili fossili.

Per questi motivi, e per l’importanza che l’elettricità ricopre nello sviluppo economico e sociale, in questo articolo ci focalizzeremo prevalentemente sulle fonti energetiche primarie utilizzate per la produzione di energia elettrica.

3.1 La domanda di energia elettrica

Un aspetto rilevante da considerare è che la domanda di elettricità in una determinata regione non è costante ma varia significativamente nel corso della giornata, della settimana e dei mesi.

La domanda di elettricità però non si avvicina mai allo zero: non solo perché sono sempre in funzione alcuni servizi essenziali ed infrastrutture critiche come ospedali, ferrovie, sistemi di comunicazione, data center, acciaierie, industrie chimiche, ecc. ma anche perché una parte delle utenze più variabili, ad esempio quelle domestiche, in media sono comunque attive (1).
Questa quota di domanda minima si definisce carico di base (“base load“), si può interpretare come la quota di energia che va comunque generata in modo costante ventiquattr’ore su ventiquattro.
Al carico di base si aggiunge la componente variabile che va generata seguendo il consumo in tempo reale.
Essa può essere analizzato su tre principali orizzonti temporali: giornaliero, settimanale e stagionale.

Esploreremo questa variabilità nei grafici seguenti che presentano l’andamento in Italia del “Total Load” (carico totale o fabbisogno), ossia la domanda di energia elettrica che il sistema elettrico nazionale deve soddisfare (Qui un’utile dashboard interattiva).

Nel grafico di Figura 3 è rappresentato l’andamento annuale dei consumi elettrici tramite una media mobile centrata settimanale (ogni dato è calcolato come la media dei tre giorni precedenti, del giorno stesso, e dei tre giorni successivi) per gli anni dal 2019 al 2023. 

Fig.3 –  Andamento del consumo elettrico italiano annuale. Media mobile centrata settimanale. Elaborazione su dati Terna.

Dal grafico si nota subito l’eccezionalità del 2020 con i bassi consumi dovuti alle chiusure per la pandemia di COVID-19, oltre a questo sono evidenti alcuni andamenti stagionali costanti negli anni come il picco dei consumi nei periodi estivi lavorativi (con le industrie ancora operative) dovuto agli aggiuntivi consumi per il raffrescamento degli ambienti, mentre non è rilevabile un aumento dei consumi legato ai riscaldamenti essendo questi elettrificati in minima parte (circa 5%) (2). Inoltre sono significativi anche i periodi di calo della domanda in occasione di festività e periodi feriali in generale.

Nel grafico di Figura 4 presentiamo, invece, un’analisi settimanale per l’anno 2023 che descrive la distribuzione dei consumi elettrici per ogni intervallo orario di ogni specifico giorno della settimana. 

Fig.4 –  Consumo elettrico medio in Italia nel 2023. Elaborazione su dati Terna .

Per tutti i giorni della settimana si può osservare una forte periodicità giorno – notte, con il picco dei consumi intorno alle 18 (orario in cui molte attività sono ancora attive ma iniziano a salire anche i consumi domestici e quelli per l’illuminazione generale) ed il minimo dei consumi nelle ore successive alla mezzanotte. Inoltre, concentrandosi sull’intervallo di tempo settimanale, si può notare la significativa riduzione dei consumi nel week-end, causata ovviamente dalla riduzione dei consumi legati alle attività lavorative.

Da questo grafico si può, infine, ricavare un dato piuttosto preciso relativo al baseload italiano, evidenziando come il consumo italiano in ogni ora di tutto l’anno non scenda quasi mai sotto i 20 GW, con poche ore notturne che raggiungono il limite inferiore di 17.5 GW.

È però importante ricordare che questo valore crescerà in futuro in quanto il consumo elettrico è destinato a salire, nonostante il maggior efficientamento, in conseguenza della maggior elettrificazione dei consumi (si pensi ad esempio alle auto ed ai riscaldamenti di edifici residenziali e commerciali).

Abbiamo presentato il caso italiano per semplicità ma trend analoghi sono presenti in tutte le zone del mondo, con alcune distinzioni in base ai settori industriali, alle latitudini o più in generale al clima, oltre che allo sviluppo economico del Paese ed alla quota dei consumi elettrificati.

3.2 La produzione di energia elettrica

Vi sono diversi metodi per generare energia elettrica partendo da una fonte energetica primaria e su scala sufficientemente grande, per poter essere messa a disposizione dei consumatori finali: bruciando combustibili fossili e/o non-fossili (ad esempio rifiuti), utilizzando fonti comunemente dette “rinnovabili” (idroelettrica, solare termico, fotovoltaica, eolica, geotermica e biomassa) e sfruttando le reazioni nucleari di particolari elementi.

Le centrali termoelettriche bruciano composti a base di carbonio (lignite, carbone, metano) e hanno come conseguenza il rilascio di GHG, come anidride carbonica o metano (sono rilevanti anche le perdite durante il trasporto), e di inquinanti atmosferici (NOx, SO2, PM2.5, PM10) nell’atmosfera. Il fotovoltaico e il solare termico sfruttano le reazioni di fusione nucleare che hanno luogo nel sole e che si tramutano nell’irraggiamento luminoso che tutti sperimentiamo sulla Terra. L’eolico si basa invece sul vento generato dalle differenze di pressione in atmosfera e l’idroelettrico sfrutta l’energia potenziale contenuta in grandi bacini d’acqua. Le attuali centrali nucleari sfruttano invece la fissione controllata dell’uranio e, in piccola percentuale, del plutonio (che non produce direttamente né GHG né inquinanti atmosferici).

Per poter confrontare in modo sistematico, rigoroso ed imparziale le diverse tecnologie utilizzate nelle centrali di produzione di energia elettrica, si usano indicatori standardizzati che forniscono informazioni su quanto una tecnologia sia più o meno performante per un determinato aspetto ed adatta in un determinato contesto. I più importanti ed utilizzati sono: 

  • L’impatto ambientale dell’intero ciclo di vita dell’impianto (Life Cycle Impact Assessment, LCIA).
  • Il “fattore di capacità”, ovvero il rapporto tra energia effettivamente generata e energia massima teoricamente generabile.
  • La “dispacciabilità”, cioè la capacità di fornire elettricità quando richiesto (on-demand).
  • Il costo per unità di energia elettrica prodotta, per cui esistono diversi approcci e metodologie di valutazione, compresa la valutazione più  generale del costo complessivo di sistema per un determinato mix elettrico.

Nei capitoli seguenti andremo ad analizzare più nel dettaglio questi indicatori.

4. Life Cycle Impact Assessment (LCIA)

Il LCIA permette di stimare l’impatto sull’ecosistema umano (3) per ogni specifica tecnologia. Questo indice si basa sul Life Cycle Assessment (LCA), una metodologia che considera tutte le fasi della vita di una tecnologia: dalla realizzazione dell’impianto, attraverso la sua operatività, fino allo smantellamento. Il LCA prende in considerazione tutti i processi e le attività necessarie per ciascuna fase, come l’estrazione dei materiali (carbone, petrolio, metano, uranio, terre rare, silicio, acciaio ecc.), la produzione dei componenti, l’energia utilizzata, lo smaltimento dei rifiuti e dei residui di lavorazione.

Un report molto esaustivo in merito è quello pubblicato dalla Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite (UNECE) nel marzo 2022, il quale analizza in dodici diverse aree geografiche una serie di tecnologie: carbone e gas con e senza “carbon capture” (CCS) (4), idroelettrico, nucleare, solare a concentrazione(5), fotovoltaico, eolico [7]. Per ognuna di queste tecnologie ed aree geografiche sono stati valutati diversi parametri di impatto ambientale:

  • emissioni di gas serra (GHG)
  • radiazioni ionizzanti
  • tossicità verso l’ecosistema
  • occupazione di suolo
  • uso di acqua
  • uso di risorse minerali e materiali

Per quanto riguarda le emissioni di gas serra rimandiamo alla Figura 1, che fa sempre riferimento ai dati UNECE. Per brevità di seguito ci concentriamo solo su altri due parametri: l’occupazione di suolo e l’utilizzo di risorse materiali.

4.1 Consumo di suolo

Il grafico in Figura 5 è relativo al consumo di suolo espresso in m2 per unità di elettricità prodotta (MWh) [8]. 

Fig.5 –  Consumo di suolo per diverse tecnologie di produzione di energia elettrica. Elaborazione Hannah Ritchie su dati UNECE, 2022 [8].

La produzione da nucleare ha il consumo di suolo inferiore, con risultati molto bassi anche per la produzione da gas metano e da fotovoltaico montato su tetti, in quanto questi ultimi, essendo già un’area antropizzata, non sono considerati come occupazione di suolo aggiuntiva. Il risultato però cambia per quanto riguarda il fotovoltaico a terra, che ha un valore mediano fra 40 e 60 volte quello della produzione nucleare.

Gli impianti a carbone e quelli a gas sono simili per dimensioni, tuttavia la produzione di elettricità con il carbone ha un consumo di suolo superiore di oltre dieci volte, a causa dell’estesa attività di scavo ed estrazione necessaria e della sua ridotta densità energetica (6).
La produzione idroelettrica nel caso di impianti di grandi dimensioni ha un consumo di suolo simile a quella a carbone. Il dato peggiora sensibilmente nel caso di impianti di piccola e media potenza. 

Per quanto riguarda l’eolico onshore, il dato può variare di molto a seconda che si consideri solamente l’area effettivamente occupata dalle turbine – e in questo caso il dato è paragonabile a quello della produzione nucleare – oppure si tenga conto anche dell’area necessaria per distanziare le turbine tra loro in un unico sito (7). Un discorso simile si potrebbe fare anche per il fotovoltaico a terra in quanto, ad esempio nel caso dell’agrivoltaico, il terreno non è del tutto “occupato”.

4.2 Consumo di materiali

Il grafico in Figura 6 presenta un’analisi, condotta dal centro di ricerca The Breakthrough Institute, sulla quantità complessiva di materiali richiesti per diverse tecnologie energetiche, espressa in chilogrammi per ogni GWh di elettricità prodotta [9]. Lo studio si concentra solamente sulle tecnologie a basse emissioni di GHG, non solo per i vincoli dati dall’obiettivo del Net Zero al 2050 [10] ma anche perché le fonti fossili come carbone e gas hanno, considerando solo il combustibile, un impatto che è rispettivamente circa 20 e 3 volte superiore (8) .

Fig.6 –  Materiali richiesti per tecnologie di produzione elettrica a basso tasso di emissioni di GHG. Nota: AP1000 ed EPR sono design di reattori nucleari di grossa taglia mentre il BWRX-300 è un esempio di Small Modular Reactor (SMR). Le linee tratteggiate ipotizzando per l’impianto nucleare un capacity factor del 92% ed un periodo di vita 80 anni. Elaborazione the breakthrough institute, 2024 [9].

Come si può vedere anche in questo caso le tecnologie nucleari si distinguono per il minor impatto.

Questo aspetto è ulteriormente rafforzato se ci si concentra sui cosiddetti minerali critici, così come definiti dall’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) [11]. Come si evince dalla Figura 7, estratta dal già citato report UNECE, nucleare, gas e idroelettrico di media e piccola taglia sono gli impianti che riscontrano i valori migliori.

Fig.7 – Minerali critici richiesti per le diverse tecnologie di produzione elettrica, in g per MWh. Elaborazione UNECE, 2022 [7].

[I minerali critici hanno delle implicazioni molto forti per quanto riguarda la concentrazione della supply chain e le relazioni internazionali, ma per questioni di spazio non approfondiremo oltre.]

4.3 LCA normalizzato e pesato

Infine il grafico in Figura 8, tratto sempre dal report UNECE riporta, per l’anno 2020 in riferimento all’area europea, i valori normalizzati e “pesati” in base all’importanza delle varie forme di impatto ambientale prese in considerazione nello studio. 

Fig.8 –  Impatto per l’intero ciclo di vita per diverse tecnologie di produzione di energia elettrica per TWh di elettricità prodotta. Elaborazione UNECE, 2022 [7].

Questo indice riassuntivo conferma come l’impatto totale sull’ecosistema umano dell’energia nucleare e delle fonti rinnovabili siano tra loro paragonabili, e di gran lunga inferiori rispetto alle tecnologie che ricorrono alle fonti fossili.

A conclusioni analoghe giunge un altro studio estremamente importante, condotto nel 2021 dal Joint Research Centre (JRC) su incarico della Commissione Europea [12], che si focalizza sugli impatti ambientali dell’energia nucleare, comparati a quelli prodotti da altre fonti, per la definizione di una tassonomia nell’ottica dei sei obiettivi ambientali definiti dal “Green Deal EU”. 

Per una discussione più approfondita del rapporto del JRC e degli argomenti trattati al suo interno rimandiamo all’articolo pubblicato sul nostro sito [13].

5. Capacity Factor

Sovente si sente parlare di nuovi impianti eolici o fotovoltaici per la produzione di energia elettrica riferendosi alla potenza installata: 100 MW, 5 MW, 20 MW. Nella maggior parte dei casi, questi annunci contengono un grave errore di fondo, non tengono cioè conto del fatto che la capacità produttiva “reale” di una centrale elettrica non corrisponde mai alla sua capacità “nominale” (potenza installata). Il sole non brilla sempre, il vento non soffia sempre, la disponibilità di acqua degli impianti idroelettrici varia con le stagioni, una centrale termoelettrica fossile, così come una nucleare ha bisogno di essere mantenuta. Di conseguenza un impianto non produce mai tanta energia quanto teoricamente potrebbe in caso di operatività continua.

Il rapporto tra la capacità effettiva e quella nominale, solitamente misurato nell’arco temporale di un anno, viene detto capacity factor. In formule:

Capacity factor = [energia  effettivamente  prodotta  nel  periodo  in  esame (kWh)] / [potenza nominale dell’impianto (kW) X numero di ore nel periodo in esame (h)]

Se una tecnologia ha un capacity factor basso, per assicurare la produzione costante di una data quantità di energia elettrica sarà necessario installare una “sovracapacità” nominale in modo da sopperire con la quantità installata al basso fattore di capacità.

Il capacity factor è un parametro molto variabile geograficamente e stagionalmente nel caso delle fonti dipendenti dalle condizioni atmosferiche, ma dipende anche significativamente dalle diverse modalità di utilizzo degli impianti.
Abbiamo cercato comunque di raccogliere i valori medi e gli intervalli per le diverse tecnologie [14-17] : 

  • Nucleare 80% con un intervallo fra 65% e 95%  – la variabilità del CF per il nucleare dipende prevalentemente dalle scelte del gestore. In USA, Canada e, in passato, in Germania, si tende a mantenere il carico più elevato possibile (85-95%), mentre in Francia si preferisce modulare il carico per migliorare la “dispacciabilità” della fonte come descritto più avanti (9) 
  • Geotermico 70 – 85%
  • Carbone  50% (con percentuali fino all’80%)
  • Gas naturale 45 – 70 %  il CF delle centrali a gas è molto variabile in base al genere d’impianto ed al suo utilizzo: ciclo aperto (OCGT) per peaking o ciclo combinato (CCGT) per baseload (10)
  • Biomasse (rifiuti o legname) 70 – 75 % – le centrali basate su termovalorizzatori tendono ad essere utilizzate al massimo della capacità tecnica (al netto quindi delle necessarie manutenzioni) per evitare possibili problemi di alimentazione dei bruciatori 
  • Biomasse (scarti agricoli) 50% con intervallo molto ampio dal 30% fino all’80%
  • Idroelettrico 45% con intervallo che varia dal 40% ad oltre il 60% in base all’area 
  • Eolico offshore (in mare aperto) 40% con intervallo che varia dal 30% ad oltre il 50% in base all’area
  • Eolico onshore (su terra ferma) 35% con intervallo che varia dal 30% al 50% in base all’area – il CF dell’eolico onshore è inferiore rispetto all’eolico offshore a causa della minore costanza dei venti su terraferma rispetto al mare aperto.
  • Fotovoltaico 17% con intervallo che varia dal 10% al 25% in base all’area – generalmente gli impianti “utility scale” hanno CF più elevati rispetto a quelli sui tetti (che siano domestici oppure industriali). Il CF così basso è dovuto, ovviamente, al fatto che la produzione fotovoltaica si azzera nelle ore notturne oltre che alla sensibilità alle condizioni atmosferiche.
Fig.9 – Capacity Factor delle diverse tecnologie di produzione elettrica, valore media ed intervallo. Elaborazione su dati IEA 2020, IRENA 2023, Bolsona et al. 2022, PRIS 2024

6. Dispacciabilità

A questo punto bisogna introdurre il concetto di “dispacciabilità”, ovvero la capacità di una tecnologia di variare la propria generazione di potenza elettrica in base alle richieste dalla rete facendo fronte alla variabilità della domanda e della capacità produttiva. In altre parole, la possibilità di “accendere” (ma anche spegnere) rapidamente la centrale a discrezione del gestore dell’impianto.
I tempi di risposta delle centrali elettriche variano in funzione della tecnologia usata: partendo da qualche minuto (o anche meno in alcuni casi) delle turbine a gas a ciclo aperto  fino a qualche ora per centrali a carbone, nucleari o a biomassa. Invece le centrali basate su fotovoltaico ed eolico non possono essere “accese” o regolate a seconda delle necessità immediate della rete, poiché la loro produzione è direttamente dipendente dalle condizioni atmosferiche (l’intensità della radiazione solare e la forza del vento) che sono intrinsecamente variabili sia stagionalmente che giornalmente, oltre che soggette ad errori di previsione. Per quanto riguarda le tecnologie idroelettriche, la dispacciabilità dipende dalla specifica tipologia dell’impianto (11). Gli impianti a bacino offrono un’elevata flessibilità, le centrali a pompaggio sono estremamente dispacciabili e possono fungere anche da sistemi di accumulo mentre gli impianti ad acqua fluente hanno una flessibilità inferiore, poiché la loro capacità di generazione dipende strettamente dal flusso naturale del fiume. In ogni caso, in maniera più o meno forte, la capacità di generazione è comunque soggetta a variabilità stagionali, che possono essere influenzate anche in misura marcata dall’andamento delle condizioni meteorologiche e climatiche.

Come viene quindi garantita la copertura del fabbisogno elettrico in tempo reale, considerando la sua variabilità ed i vincoli fisici che caratterizzano la rete di distribuzione?

Da un punto di vista della gestione della rete elettrica, il modo più semplice ed efficace per coprire il carico di base consiste nell’utilizzo di fonti di energia programmabili con un alto Capacity Factor, come le fonti fossili, le biomasse, il geotermico, l’idroelettrico (impianti a bacino) ed il nucleare. Queste tecnologie, mantenendo una produzione energetica elevata e costante, non solo ottimizzano le proprie prestazioni, ma facilitano anche l’ammortamento dei propri costi fissi, riducendo di conseguenza il costo medio del kWh [18].

Anche le fonti rinnovabili, in particolare fotovoltaico ed eolico, giocano un ruolo cruciale nel complementare la generazione di energia elettrica, ma la loro natura intermittente introduce sfide significative

Per evitare di ottenere un mix energetico troppo sbilanciato è prioritario ridurre la dipendenza da un’unica fonte intermittente e potenziare le interconnessioni tra le diverse regioni.
A complemento, per rendere il sistema elettrico più flessibile e resiliente, sono attualmente molto studiate strategie di “demand response” che hanno l’obiettivo di adattare il consumo di energia alle fluttuazioni dell’offerta (ad esempio la gestione flessibile dei carichi industriali e la ricarica intelligente dei veicoli elettrici). Infine, un ruolo centrale è svolto dai sistemi di accumulo energetico, capaci di immagazzinare l’energia prodotta in surplus per poi rilasciarla secondo necessità. Le tecnologie spaziano dalle ormai consolidate batterie agli ioni di litio e sistemi di pompaggio idroelettrico, fino all’idrogeno ed a nuove soluzioni ancora non tecnologicamente pronte o economicamente sostenibili, soprattutto per quanto riguarda l’accumulo di lunga durata (LDS) [19-24]. [Ci riserviamo di approfondire il ruolo di queste tecnologie in un articolo a parte]. 

In questa ottica un’altra caratteristica importante per una centrale energetica è la capacità di adeguare rapidamente l’output alle fluttuazioni della domanda e alle situazioni di sovrapproduzione tramite le cosiddette rampe di carico, ossia la variazione di MW per unità di tempo (12)

Le fonti fossili (gas a ciclo aperto in particolare) sono tradizionalmente note per svolgere questo ruolo (con comunque alcuni problemi legati allo stress di questi “cicli”), tuttavia anche il nucleare ha la possibilità di modulare il proprio carico con rampe significative anche se con dei limiti tecnici ed economici [25-31]. Anche dai siti che raccolgono dati sulla produzione elettrica di vari paesi come nuclear-monitor, energy-charts o intermittent.energy si può osservare che la Francia (EdF) opera frequentemente i suoi reattori con rampe di adattamento al carico. La Figura 10 illustra la capacità di adattamento al carico da parte di diverse tipologie di centrali nucleari e fossili.

Fig.10 –  Capacità di adattamento al carico (in riduzione) di diverse tipologie di centrali. Elaborazione Kosowski Et al., 2021 [30].

Tuttavia le variazioni rapide del cosiddetto “net load”, ossia la domanda al netto della produzione rinnovabile variabile, sono difficili da gestire se non utilizzando le turbine a gas a ciclo aperto (OCGT), che in futuro dovranno implementare sistemi di CCS (3), oppure grazie ai sistemi di accumulo più flessibili [19-22]. 

Può essere utile a questo punto vedere un esempio di come la dispacciabilità delle diverse fonti influisce sulla produzione elettrica di una rete nazionale anche su scale temporali più grandi. In Regno Unito il nucleare copre una buona percentuale del carico base (circa il 15%) e l’eolico contribuisce ad una quota superiore al 30% del fabbisogno, tuttavia sia durante i picchi di richiesta sia nei periodi poco ventosi la domanda è coperta in buona parte da centrali con turbine a gas.

Nel grafico di Figura 11 (elaborato su dati UK National Grid) viene riportato l’andamento della domanda e della relativa generazione di potenza sulla rete britannica nel corso degli ultimi 12 mesi.  

Fig.11 –  Produzione di elettricità da diverse fonti in UK per  il periodo giugno 2023 – giugno 2024.

Dal grafico si notano chiaramente gli andamenti in “controfase” della generazione eolica (non dispacciabile) e da gas naturale (alta dispacciabilità). 

7. Costi di produzione del kWh

Data la centralità che ha nella vita delle persone e nell’economia di un Paese, un aspetto particolarmente importante della produzione di energia elettrica è il fattore economico.

Riassumiamo qui i concetti chiave per orientarsi sul tema, riservandoci di pubblicare a breve un articolo di approfondimento.

7.1 LCOE

La metrica più semplice e conosciuta in questo campo è il cosiddetto costo livellato dell’elettricità LCOE (Levelized Cost of Electricity) [15]. La formula per il calcolo dell’LCOE può essere riassunta in modo semplificato come:

LCOE = [CAPEX + OPEX + Altri Costi] / [Elettricità totale generata nel corso della vita utile]

In questa formula, il numeratore rappresenta il valore attuale dei costi totali di un impianto, che include i costi capitali iniziali (CAPEX), i costi operativi (OPEX) ed altri costi associati alla gestione e al mantenimento dell’impianto (ad esempio la gestione del combustibile esausto e dell’impianto a fine vita – decommissioning – nel caso delle centrali nucleari). Il denominatore, d’altra parte, rappresenta il valore attuale dell’elettricità totale generata dall’impianto durante la sua vita utile.

Concettualmente può essere interpretata come il punto di pareggio per un investimento in un determinato impianto energetico, ossia il prezzo minimo teorico a cui il gestore deve vendere tutta l’elettricità prodotta affinché le entrate totali ripaghino il totale dei costi sostenuti durante la vita utile dell’impianto. Si tratta quindi di una metrica prettamente finanziaria facilmente calcolabile in fase di pianificazione di un investimento, molto utile per confrontare impianti con caratteristiche simili oltre che per per analizzare l’evoluzione nel tempo e per confrontare le differenze regionali di una determinata tecnologia. Come ogni statistica riassuntiva l’LCOE ha dei vantaggi e dei limiti, nella sua facilità di calcolo necessita di alcune specifiche assunzioni ed il singolo numero finale perde parte della complessità e della variabilità delle informazioni iniziali.

Quando si parla di fattore economico, infatti, soprattutto in un ambito così complesso come quello della produzione energetica, l’analisi non si può limitare al solo costo di produzione [32-36].

Questo è vero principalmente per 3 motivi:

  1. i sistemi elettrici hanno una struttura di remunerazione molto più complessa di quella che può essere tratta semplicemente guardando alla metrica LCOE, che quindi riflette solo in parte l’effettivo prezzo che ricevono i gestori degli impianti [questo argomento necessiterebbe di un articolo a se stante quindi ci limitiamo a segnalare un video divulgativo utile come introduzione e le fonti istituzionali in merito].
  2. vi sono costi del sistema elettrico che l’LCOE non considera, ad esempio tutto ciò che riguarda in generale l’infrastruttura di rete, a partire dall’aspetto più ovvio, ossia le interconnessioni, ma non solo [37-40] [anche per quanto riguarda l’infrastruttura di rete ci limitiamo a questo accenno per motivi di spazio].
  3. il “valore” dell’energia, in questo specifico caso dell’elettricità immessa in rete, non è sempre uguale, come approfondiremo di seguito.

7.2 Differenza fra Costo e Valore

Dobbiamo quindi chiarire il “dilemma” costo-valore per quanto riguarda la produzione di energia elettrica.
Il concetto generale non è dissimile dal principio economico fondamentale di domanda ed offerta: il valore di un bene nel mercato è determinato dall’interazione tra domanda e offerta, che influenzano il prezzo, oltre ai costi di produzione. Nel caso dell’energia elettrica domanda ed offerta devono sostanzialmente bilanciarsi in tempo reale, per evitare black out e scompensi sulla rete. Considerando quindi quali sono gli standard richiesti alle moderne infrastrutture di rete con una generazione che deve costantemente adeguarsi alla domanda, è chiaro che l’elettricità generata “ora” e “su richiesta” ha un valore molto più alto rispetto a quella generata “diverse ore dopo” e “non programmabile”. Concettualmente possiamo estrarre due componenti principali che determinano il valore dell’elettricità : una componente determinata dai consumi ed una determinata dalla generazione. In particolare avremo che nei momenti di bassa domanda (bassi consumi) l’elettricità venduta dai produttori avrà un valore minore, mentre nei momenti di picco, dove c’è molta richiesta, i consumatori saranno disposti a pagare anche di più pur di ricevere sufficiente elettricità (si pensi ai profili di consumo italiano presentati in precedenza in Figura 3 e 4). Inoltre, siccome la generazione rinnovabile intermittente non solo non è dispacciabile ma è dipendente dalle condizioni meteorologiche, questo porta gli impianti della stessa tecnologia in una determinata area ad avere profili di produzione sovrapposti, abbattendo il valore dell’energia prodotta da ciascun impianto. Questo fenomeno è chiamato “cannibalizzazione” [41,42] [anche questo per motivi di spazio non verrà approfondito ulteriormente].

Analizzato questo aspetto del “valore” dell’elettricità, è chiaro perché utilizzare la metrica dell’LCOE per confrontare direttamente fonti dispacciabili con fonti non dispacciabili (intermittenti) rischia di portare a considerazioni erronee

7.3 Assunzioni e Sensibilità

L’LCOE è una grandezza particolarmente sensibile alle variazioni delle assunzioni finanziarie e tecniche formulate per le diverse tecnologie energetiche. 

Di conseguenza, tutti i report evidenziano differenze regionali oltre che, spesso, un intervallo che accompagna i singoli valori.

In Figura 12 riportiamo i box plot con gli LCOE calcolati dall’IEA [15] (la linea centrale rappresenta il valore mediano ossia quello che divide a metà la distribuzione ordinata di tutti i valori, i “baffi” estremi sono il minimo ed il massimo ed il rettangolo colorato rappresenta l’intervallo per il 50% centrale delle osservazioni).

Fig.12 –  LCOE delle diverse fonti energetiche al 2020, con tasso di sconto al 7%. Elaborazione IEA ed OECD, 2020 [15].

In Figura 13 riportiamo una tabella, tratta dal report annuale 2023, sempre della IEA [43] in cui sono incluse anche le stime per gli LCOE al 2030 ed al 2050. Per ciascuna fonte è rappresentata la variabilità regionale, insieme ai tre parametri principali: i costi capitali, quelli variabili ed il capacity factor.

Fig.13 – Costi per le diverse fonti energetiche al 2022, 2030 e 2050, per diverse regioni, nello scenario Net Zero al 2050. Elaborazione IEA ed IRENA, 2023 [43].

La variabilità dell’LCOE rispetto alle assunzioni può essere più o meno marcata a seconda delle tecnologie considerate.

Ad esempio, come si può vedere in Figura 14, il prezzo del combustibile – su cui pesa anche una grossa incertezza nelle stime a lungo termine – influisce molto sull’LCOE finale per le fonti fossili.

Fig.14 – LCOE per diverse fonti energetiche in funzione del costo del carburante. Elaborazione 2020 World bank [34].

Gli impianti rinnovabili, soprattutto fotovoltaici ed eolici, sono invece molto sensibili al capacity factor, come si può vedere in Figura 14.

Fig.15 – LCOE per diverse fonti energetiche in funzione del Capacity Factor. Elaborazione 2020 World bank [34].

Per quanto riguarda gli impianti nucleari, le grosse differenze regionali sono determinate principalmente dal costo capitale.
Infatti il reattore nucleare è un impianto caratterizzato da una spesa iniziale ingente (nell’ordine dei miliardi di dollari) e da un tempo di costruzione relativamente lungo (la maggior parte fra 5 ed 8 anni [l’argomento è molto riassunto per motivi di spazio]) il che porta ad avere un costo totale costituito quasi interamente dai costi di costruzione e dai relativi oneri finanziari [44].

La dipendenza dell’LCOE di un reattore nucleare dal costo del capitale, è ben visibile in Figura 16.

Fig.16 –  LCOE per una nuova centrale nucleare, in funzione del costo del capitale espresso come una variabile percentuale. Sono evidenziati 4 intervalli per il costo del capitale che fanno riferimento a 4 diversi schemi di finanziamento: (da sx a dx) titoli di stato, finanziamento tipo RAB, contratti tipo CfD, sul mercato. Elaborazione OECD NEA 2022 [45].

E’ importante sottolineare anche che i costi di costruzione (anche detti “costi overnight”) variano sensibilmente in base al progetto preso in considerazione o se confrontati con alcuni programmi storici, come si può vedere dalla Figura 17 tratta da uno studio del MIT [49].

Fig.17 – Costi overnight per kW di storiche (sx) e recenti (dx) costruzioni di reattori nucleari LWR (ad acqua leggera) in diversi stati. Elaborazione MIT, 2018 [49]

L’analisi dei costi di un reattore nucleare ed i motivi delle differenze esistenti tra i vari modelli attualmente in esercizio e/o in costruzione, necessiterebbero di un articolo a parte. Per motivi di spazio ci limitiamo a suggerire un’intervista molto approfondita su questo tema fatta al prof. Jacopo Buongiorno del MIT ed un articolo del Financial Times oltre alla letteratura citata di seguito [46-52].

Infine, per quanto riguarda la tecnologia nucleare è interessante soffermarsi anche sul caso degli impianti che subiscono interventi di “refurbishing”, finalizzati all’estensione della vita operativa (Long Term Operations, LTO) oltre ai 40 anni tipicamente previsti in fase di progetto (60 anni nel caso dei reattori di III+ generazione) con reattori che già ora hanno la licenza per operare fino ad 80 anni [53,54].
Come si può vedere in Figura 12 l’LCOE calcolato per questi impianti è fra i più bassi di tutte le tecnologie, questo perché, come già sottolineato, i costi operativi del nucleare costituiscono solo una piccola parte dei costi totali. 

7.4 VALCOE

Per supplire ai limiti dell’LCOE, soprattutto quando si vogliono confrontare fonti con caratteristiche diverse come la dispacciabilità, sono proposte ed esplorate varie metriche alternative. Una di queste, ideata da IEA [15], è il VALCOE (Value-Adjusted Levelized Cost of Electricity) che aggiunge delle componenti per “aggiustare” LCOE e dare più informazioni sul “valore” dell’energia. [Questa metrica verrà trattata a parte nell’articolo di approfondimento.

7.5 Costi di sistema

Sia VALCOE che LCOE sono metriche riferite alla singola tecnologia o meglio al singolo impianto, tuttavia quello che è davvero importante è minimizzare il costo complessivo del mix elettrico, mantenendo al contempo dei vincoli sulle emissioni di gas serra. Per raggiungere questo obiettivo, il metodo più efficace si basa sulla simulazione di diversi mix energetici e sulla valutazione dei costi di sistema associati. Questi non si limitano ai costi diretti di produzione e costruzione delle singole tecnologie (LCOE), ma includono anche le spese per la manutenzione e l’ampliamento delle infrastrutture di rete. Inoltre, tentano di quantificare i costi di sistema aggiuntivi, tra cui quelli legati alla necessità di garantire flessibilità e capacità di riserva, nonché i costi relativi ai servizi ancillari e altre componenti del mercato elettrico nel suo complesso.

7.6 Prezzo in bolletta

Infine è molto importante chiarire che nessuna delle metriche sopra citate corrisponde a ciò che il consumatore finale andrà a pagare. La bolletta finale è certamente influenzata dall’LCOE dei diversi impianti che concorrono al mix, ma è anche profondamente modificata dai prezzi generati dal mercato elettrico, dai vari costi dell’infrastruttura di rete, dalle tassazioni e dagli eventuali oneri aggiuntivi (per l’Italia si pensi alle incentivazioni delle fonti rinnovabili nella componente A3 [55] oppure ai sussidi per la crisi del gas [56]).

[Anche questi aspetti verranno trattati a parte nell’articolo di approfondimento.].

Conclusioni

In questo articolo abbiamo confrontato attraverso alcuni dei parametri tecnici più importanti le tecnologie di generazione di energia elettrica. 

Per concludere, vi presentiamo in Figura 18 un confronto riassuntivo delle diverse tecnologie di produzione di energia elettrica, tratto da una recente pubblicazione del Department of Energy (US DOE) [57].

Fig.18 –  Fonti energetiche a confronto rispetto ad alcuni parametri significativi. Elaborazione DOE [57].

Abbiamo, però, lasciato a futuri articoli l’analisi di alcuni aspetti ugualmente importanti per la completa comprensione della complessità dei temi energetici. Ad esempio non sono stati approfonditi gli aspetti relativi ai tempi di costruzione degli impianti o quelli relativi alle relazioni internazionali e all’indipendenza energetica, in particolare l’approvvigionamento delle tecnologie e delle materie prime.

Inoltre non è stato affrontato il tema dell’accettabilità sociale e politica a partire dal cosiddetto effetto NIMBY (Not In My Back Yard), ossia dal rifiuto di avere impianti nei pressi della propria abitazione. Infine gli aspetti tecnici relativi al mercato energetico, ad esempio la formazione del prezzo dell’elettricità, ed al funzionamento della rete nel suo complesso sono stati sensibilmente semplificati.

Riassumiamo brevemente i punti principali emersi da questa analisi:

  • Il consumo di energia, in particolare elettricità, è centrale nelle nostre vite ed è fondamentale che la domanda sia soddisfatta in modo certo, rapido ed economico.
  • La domanda di elettricità non è costante ma ha un profilo complesso che non corrisponde al profilo di generazione delle fonti intermittenti. Per questo motivo la dispacciabilità e la flessibilità sono caratteristiche importanti per una fonte di produzione.
  • Per ogni tecnologia si possono individuare dei pro e dei contro significativi, la produzione di energia, l’infrastruttura necessaria al dispacciamento e le regole del mercato di riferimento sono argomenti complessi su cui spesso vengono tratte conclusioni semplicistiche per confermare le proprie convinzioni a priori.
  • Ogni confronto tra tecnologie di produzione di energia elettrica deve essere contestualizzato nella realtà del Paese considerato.
  • L’impatto ambientale in termini di emissioni di gas serra ed inquinamento è un aspetto centrale delle tecnologie di produzione energetica, tuttavia anche altre misure d’impatto come per esempio il consumo di suolo e di minerali sono rilevanti.
  • Sfruttare ogni tecnologia al suo meglio ed in modo neutrale dev’essere l’obiettivo primario per raggiungere una produzione energetica pulita, sicura ed economica.

Spesso ci si dimentica di quanto centrale è il consumo di energia nelle nostre vite, di quanto siamo ormai abituati ad avere la certezza di ottenere in modo immediato a nostro piacimento l’elettricità richiesta alla rete e gli ultimi anni ci hanno anche resi molto consapevoli di quanto sia importante ottenere energia a prezzi bassi, sia per l’industria che per i singoli cittadini. Inoltre considerando i rischi e le esternalità negative legate all’utilizzo dei combustibili fossili per la produzione di energia [58], sia per quanto riguarda l’inquinamento [59] che per quanto riguarda il riscaldamento globale [60,61], non si può tralasciare l’obiettivo chiave di ottenere un mix energetico a basse emissioni di gas serra [62].

Per tutte queste ragioni non ci si può permettere di essere “schizzinosi” quando si parla di approvvigionamento energetico ed è fondamentale valutare ogni fonte ed ogni mix nel suo complesso in modo neutrale, mettendo da parte i pregiudizi, consci del fatto che non esiste il proverbiale “pasto gratis”.


Note

  1. Ad esempio nonostante le luci domestiche siano chiaramente una domanda “variabile” è improbabile che in nessuna casa ci siano luci accese e quindi un minimo di domanda mediamente costante è presente anche per questi utilizzi variabili.
  2. Questa percentuale è, però, destinata a salire in conseguenza dell’elettrificazione progressiva dei consumi.
  3. Per “ecosistema umano” si intende il sistema complesso ambiente a cui si aggiungono anche le componenti di sviluppo della società umana. In tal modo si cerca di bilanciare l’attenzione alla protezione dell’ambiente naturale con i vantaggi e benefici necessari per lo sviluppo del benessere e della vita civile.
  4. Con “Carbon Capture and Storage” o cattura e sequestro del carbonio (CCS) si intende  una gamma di tecnologie ancora in via di sviluppo finalizzate alla cattura e al successivo stoccaggio dell’anidride carbonica. Queste tecnologie possono essere applicate a impianti di produzione di energia fossile o per estrarre CO2 direttamente dall’aria (Direct Air Capture, DAC), contribuendo così a ridurre le emissioni di gas serra e mitigare il cambiamento climatico.
  5. Con “solare a concentrazione” oppure “solare termico” si intendono le tecnologie a concentrazione, mediante specchi, della luce solare verso un punto in cui è situata la “caldaia” con il fluido vettore del calore. Nei grafici questa tecnologia è indicata con CSP (Concentrated Solar Panel).
  6. Si ricorda, infatti, che LCIA misura l’impatto sul ciclo vita, comprendendo quindi gli impatti generati per l’estrazione delle materie prime.
  7. Le turbine eoliche devono essere distanziate per evitare l’interferenza tra i flussi d’aria che ciascuna genera, riducendo così le turbolenze e minimizzando l’usura delle turbine. Di conseguenza aumenta l’efficienza energetica complessiva, migliora la durata e si riducono i costi di manutenzione.
  8. Per questo calcolo la metrica usata nello studio citato è Kg di roccia spostata per GWh di elettricità prodotta.
  9. Inoltre la Francia ha “troppa” capacità nucleare installata il che porta a non utilizzarla a piena potenza nonostante sia fra i paesi con l’export netto più grande al mondo.
  10. La produzione di energia elettrica tramite centrali a gas può avvenire con centrali a “ciclo aperto”, in cui il gas esausto in uscita dalla turbina viene direttamente scaricato in atmosfera o a “ciclo combinato” dove il calore residuo del gas in uscita dalla turbina viene utilizzato per produrre vapore acqueo per usi industriali (calore di processo) o energetici (classica turbina vapore).
  11. La tecnologia idroelettrica si divide in “ad acqua fluente” e “ad invaso”. La prima sfrutta principalmente la portata naturale d’acqua di un fiume, coadiuvata da un invaso di contenimento. La seconda sfrutta la capacità di un bacino artificiale alimentato da un ampio bacino imbrifero, solitamente in area montana.
  12. Un fenomeno che si sta sempre più verificando nelle reti elettriche a seguito della crescente penetrazione delle fonti non programmabili è quello della sovrapproduzione di elettricità. In queste situazioni le centrali “programmabili” (fossili, nucleari, idroelettriche a bacino) devono ridurre la produzione, anche significativamente, per evitare il sovraccarico e blocco della rete elettrica ed a volte questo porta anche a dover tagliare (cioè “buttare via”) delle quantità rilevanti di produzione rinnovabile

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Quante ne sai?

Abbiamo di recente lanciato sul nostro canale Instagram una serie di quiz a tema nucleare, con cadenza settimanale.
Ecco i quesiti proposti il 27 ottobre 2025 (in grassetto le risposte corrette):

1)  Quali sono le 3 fonti con meno emissioni e meno morti per TWh?
a – Carbone – Gas – Idroelettrico
b – Solare – Eolico – Nucleare
c – Biomasse – Gas – Geotermico

2) Perché il fotovoltaico ha un capacity factor basso?
a – Richiede molta manutenzione
b – Dipende da sole e meteo
c – Perde energia nei cavi

3) Quale affermazione è corretta?
a – Tutte le rinnovabili sono dispacciabili
b – Il nucleare non può mai modulare
c – Le turbine a gas bilanciano la rete