a cura di Simone Batori
Un tema così complesso e articolato come quello della transizione energetica deve essere affrontato con serietà e rigore, per questo il Comitato Nucleare e Ragione, associazione che dal 2011 si dedica a fornire una chiara divulgazione scientifica in merito alle tecnologie nucleari, ha voluto replicare punto per punto alle affermazioni apparse il 15/12/2025 nella Cronaca di Terni del Corriere dell’Umbria, a firma di AVS Terni.
Le argomentazioni trattate nella nota di AVS Terni sono le seguenti:
[1] Il nucleare non è un’energia verde
Il nucleare non è un’energia verde, dal momento che, come tutti sembrano dimenticare, in Italia non è stato ancora individuato un sito sicuro per smaltire le scorie.
[2] Ci sono già stati due referendum
Ci sono stati già due referendum sulla possibilità di ospitare in Italia impianti nucleari.
[3] Il nucleare è legato all’economia di guerra
Il ritorno al nucleare si registra quando abbiamo deciso di investire in un’economia di guerra, di corsa agli armamenti.
[4] I mini reattori (SMR) saranno costosi, inefficaci e tossici
I mini reattori sforeranno tempi e costi, saranno inefficienti e procureranno ancora più intossicazione ambientale e nessuna garanzia per la riduzione dei costi delle bollette (Rapporto Banca d’Italia Giugno 2025).
[5] Servono 10-19 anni, ma il problema è adesso
Per giungere alla piena operatività, il nucleare ha bisogno dai 10 ai 19 anni, ma il problema energetico è adesso.
[6] L’investimento nel nucleare toglie risorse alle rinnovabili
L’investimento negli SMR distoglierebbe risorse da tecnologie a zero emissioni di carbonio e a basso costo, come eolico, solare, idroelettrico, geotermico.
[7] Nucleare dipendente dalle multinazionali vs. Rinnovabili democratiche
L’energia nucleare crea ancora dipendenza dalle multinazionali mentre le rinnovabili sono democratiche, ciascuno è proprietario della propria energia.
Ecco come il Comitato Nucleare e Ragione replica, punto per punto a queste affermazioni.
1. Il nucleare non è un’energia verde
Innanzitutto, in questa argomentazione è la definizione di “verde” ad essere travisata. Per l’Unione Europea una tecnologia è “verde” (ossia sostenibile dal punto di vista ambientale) se viene dimostrato che non arreca danno significativo a nessuno dei sei obiettivi ambientali della Tassonomia Europea per la Finanza Sostenibile (principio “Do No Significant Harm”). Il fatto stesso che il nucleare, in seguito al rapporto del JRC, sia stato inserito dall’UE nella Tassonomia lo qualifica come ambientalmente sostenibile e, quindi, finanziabile con fondi UE.
L’assenza in Italia di un deposito nazionale dei rifiuti radioattivi è una complicazione politico-amministrativa, non un limite tecnologico dell’energia nucleare. Paesi come Finlandia e Svezia hanno realizzato o stanno realizzando depositi geologici profondi considerati sicuri. Il volume di rifiuti ad alta attività prodotto dal nucleare civile è estremamente ridotto rispetto ai rifiuti tossici industriali che gestiamo quotidianamente senza lo stesso allarme sociale. Inoltre, la tecnologia per lo stoccaggio già esiste come dimostrano gli impianti in Francia, Svizzera o Paesi Bassi. Infine, i reattori di quarta generazione potrebbero riutilizzare parte delle scorie attuali come combustibile.
2. Ci sono già stati due referendum
I contesti storici e le urgenze cambiano; un referendum abroga una legge, non vieta una tecnologia per l’eternità.
I referendum del 1987 si svolsero sull’onda emotiva dell’incidente di Chernobyl, il loro esito non vietava il nucleare in sé, ma abrogava norme specifiche (come i contributi agli enti locali). Fu una decisione politica successiva a decretare, nel 1990, la chiusura definitiva degli impianti e ad avviarne lo smantellamento.
Il referendum del 2011 si celebrò a pochi mesi dall’incidente alla centrale giapponese di Fukushima Daiichi, in un clima di fake news e in assenza di un dibattito equilibrato e informato sulle reali conseguenze dell’incidente e sui progressi delle tecnologie nucleari, soprattutto dal punto di vista della sicurezza.
Oggi il contesto è totalmente cambiato: la crisi climatica incalzante, le problematiche relative alla sicurezza degli approvvigionamenti energetici (dipendenza dal gas russo) e i costi dell’energia, nel 2011 erano percepiti diversamente. Le decisioni scientifiche e strategiche di lungo periodo devono quindi essere riconsiderate alla luce delle nuove tecnologie (generazione III+ e IV, SMR e AMR) e delle nuove necessità (obiettivi Net Zero 2050).
3. Il nucleare è legato all’economia di guerra
Questa è una correlazione spuria. Il ritorno al nucleare in Europa è motivato principalmente dalla crisi energetica seguita alla guerra in Ucraina e dalla necessità di decarbonizzazione.
La tecnologia nucleare civile è distinta da quella militare, e paesi fortemente antinucleari militarmente (come la Germania) hanno avuto programmi civili. Il combustibile per i reattori civili richiede un arricchimento dell’uranio al 3-5% (o fino al 20% per alcuni SMR/AMR), mentre per gli armamenti atomici serve arrivare a oltre il 90%. Le filiere industriali sono completamente differenti. Molti Paesi con programmi di sviluppo nucleare civile (Finlandia, Svezia, Svizzera, Giappone) non hanno armi nucleari. Al contrario ci sono due Paesi che possiedono armi nucleari (Israele e Corea del Nord) senza avere un programma civile. Infine, è proprio l’indipendenza energetica garantita dal nucleare a contribuire a ridurre le tensioni geopolitiche legate all’approvvigionamento di gas e petrolio, che sono spesso causa di conflitti.
4. I mini reattori (SMR) saranno costosi, inefficaci e tossici
Questa visione ignora l’obiettivo industriale degli SMR e usa termini emotivi (“intossicazione”) slegati dai dati radiologici.
La promessa degli SMR non sta nella grandezza, ma nella modularità. Costruirli in fabbrica e assemblarli in loco mira proprio ad abbattere i costi e i tempi che affliggono i grandi reattori costruiti “su misura”, specialmente in Europa e USA dove, per ragioni prevalentemente ideologiche, si è smesso di costruirli.
Gli SMR (anche quelli di generazione III+) sono progettati con sistemi di sicurezza passiva (in caso di necessità entrano in funzione da soli, in base a principi fisici e naturali, senza necessità di intervento umano o azioni attive) e molti design di generazione IV riciclano il combustibile esausto, riducendo la radiotossicità delle scorie a lungo termine.
Infine, in merito al Rapporto della Banca d’Italia: il documento citato evidenzia criticità economiche di cui è giusto prendere atto, ma le proiezioni economiche variano enormemente a seconda del tasso di sconto applicato e del prezzo di gas naturale / crediti carbonio / cattura CO2 previsto, ed è inoltre doveroso distinguere tra il costo di produzione (che interessa principalmente il singolo produttore e viene sintetizzato con la metrica del LCOE) dal prezzo in bolletta (che interessa tutti i consumatori) e che tiene conto di domanda ed offerta (dove mix energetico e capacity factor delle fonti di produzione incidono) e comprende oltre ai costi di produzione anche altri costi come il dispacciamento e altri oneri di sistema (costo delle infrastrutture di rete necessarie per utilizzare e garantire l’efficacia di una produzione aleatoria di energia diluita nei tempi e negli spazi come quella delle rinnovabili non programmabili).
Il nucleare serve quindi come “assicurazione” sul prezzo stabile dell’energia, cosa che né gas né rinnovabili non programmabili possono garantire.
5. Servono 10-19 anni, ma il problema è adesso
La transizione energetica non finisce nel 2030; guardare solo al breve termine è l’errore che ci ha portato alla crisi attuale.
Se avessimo ragionato con un’ottica di lungo periodo 15 anni fa, senza farci condizionare da fake news e suggestioni emotive, oggi avremmo potenzialmente già le prime centrali nucleari in funzione.
Il fabbisogno di elettricità raddoppierà entro il 2050 (a seguito degli aumenti di consumi legati al trasporto elettrico, al riscaldamento domestico, ai datacenter…). Le fonti rinnovabili possono coprire parte di questa crescita, ma serve anche una base stabile che integri la produzione intermittente.
Il momento migliore per piantare un albero era vent’anni fa, il secondo momento migliore è oggi. Non iniziare perché “ci vuole tempo” garantisce solo di non avere mai la soluzione.
La transizione energetica non è una gara di sprint, ma una maratona.
6. L’investimento nel nucleare toglie risorse alle rinnovabili
Nucleare e rinnovabili sono fonti complementari, non alternative. Le risorse vanno sottratte ai fossili, non alle altre tecnologie green.
Eolico e solare sono intermittenti. Senza una base stabile (baseload), per ogni GW di rinnovabili non programmabili bisogna installare centrali a gas di backup o sistemi di accumulo (batterie), che oggi hanno costi proibitivi e impatti ambientali enormi per l’estrazione di litio e cobalto. Tutti gli scenari autorevoli (IEA, IPCC) per raggiungere le zero emissioni nette (Net Zero) prevedono un mix di rinnovabili e nucleare. Il nucleare infatti riduce la necessità di sovradimensionare l’infrastruttura di trasporto (rete elettrica), di mantenere riserve di produzione (accumuli) e permette di assicurare bilanciamento e inerzia (evitando pericolosi blackout come quello del 28 Aprile 2025 nella Penisola Iberica). Si tratta di notevoli investimenti che sono dovuti all’incapacità strutturale delle rinnovabili aleatorie di garantire una produzione di energia costante nel tempo e resiliente (ossia in grado di rispondere a variazioni repentine della domanda), investimenti che, come segnalato recentemente anche da TERNA, fanno crescere in maniera esponenziale i costi marginali delle rinnovabili non programmabili quando la loro concentrazione in rete aumenta oltre una certa soglia.
7. Nucleare dipendente dalle multinazionali vs. rinnovabili democratiche
Anche le rinnovabili dipendono da filiere globali concentrate (spesso in Cina) e la “democrazia energetica” non può sostenere l’industria pesante.
La quasi totalità dei pannelli fotovoltaici, delle batterie e dei magneti per l’eolico viene prodotta o raffinata in Cina. È una dipendenza geopolitica tanto quanto quella dell’uranio (che però è reperibile in Paesi politicamente stabili come Canada e Australia, si può stoccare per anni e rappresenta solo una piccola frazione (4-5%) del costo di generazione).
L’idea che “ciascuno è proprietario della propria energia” funziona per una villetta, ma non può riguardare acciaierie, ospedali, ferrovie o città densamente popolate. Un paese industriale ha bisogno di una rete nazionale robusta, che è intrinsecamente gestita centralmente per garantire stabilità e frequenza. E se c’è una città prettamente industriale in Italia questa è Terni, i cui poli siderurgico e chimico trarrebbero indubbi vantaggi da un ritorno al nucleare in Italia: sia per la sicurezza e i costi dell’approvvigionamento energetico, che per il ruolo fondamentale che l’industria ternana potrebbe avere nello sviluppo e costruzione delle infrastrutture.
