Due parole sulla questione iraniana

[parte terza]

Il nido della minaccia

Visti i ripetuti fallimenti del vecchio programma nucleare civile ed i contratti in vigore nell’unica centrale completata e funzionante qualcuno potrebbe ragionevolmente chiedersi dove si annidi la minaccia nucleare iraniana.
Il mistero è presto svelato. Ci arriviamo in tre passi.

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“Primo passo”: come avrà giustamente notato il lettore più attento, nel capitolo precedente abbiamo trascurato del tutto la storia delle centrifughe, la cui drastica riduzione è un punto cardine dell’accordo firmato a Vienna. Rimediamo ora.
Sin dall’inizio della sua avventura nucleare l’Iran ha sempre progettato di sviluppare la propria capacità di arricchimento dell’uranio, e l’ha sempre fatto pensando in grande. Dalla fine degli anni ’70 questi programmi sono stati ripetutamente e pesantemente censurati dalle Nazioni Unite – anche perché, come abbiamo visto, non vi è evidenza alcuna di un qualche scopo commerciale.
Nel 1974, l’Iran si impegnò a prestare 1,18 miliardi di dollari alla Commissione francese per l’Energia Atomica allo scopo di finanziare la costruzione dell’Eurodif, un impianto multinazionale di arricchimento a Tricastin, assicurandosi il 10% del patrimonio dell’impresa, ovvero il diritto al 10% della produzione. La parte del prestito già versata fu rimborsata con gli interessi nel 1991, senza che l’impianto avesse mai consegnato un solo grammo di uranio arricchito all’Iran. Infatti il nuovo governo post-rivoluzionario nel 1979 aveva annullato i suoi accordi con l’Eurodif e cessato ogni pagamento.
In realtà, nel 1991 l’Iran avrebbe preferito non essere rimborsato; sembrava infatti essersi risvegliato con nuove ambizioni nucleari, e chiedeva la consegna della quota di uranio arricchito che gli sarebbe spettata in base al contratto originale. La Francia si rifiutò, ufficialmente a causa delle sanzioni politiche già allora in vigore – evidentemente era del tutto svanito il ricordo dei bei giorni felici a Neauphle-le-Château [4].

61L’Iran vide in questo rifiuto una prova della inaffidabilità delle forniture estere di “combustibile” nucleare – e fino all’altro ieri si è fatto forte dell’esperienza negativa dell’Eurodif per giusitficare la necessità di raggiungere una propria “indipendenza nucleare” attraverso lo sviluppo di tutti gli elementi del ciclo del combustibile.
All’inizio di questo secolo iniziò dunque la costruzione a Natanz, a 80 km a sud est di Qom, di un impianto di arricchimento piuttosto sofisticato. Il Governo iraniano si dimenticò però di dichiarare i lavori in corso all’AIEA; finché un gruppo dissidente identificò il sito nel 2002 e ne sbandierò l’esistenza ai quattro venti.
La facility di Natanz è nota come Impianto Pilota di Arricchimento del Combustibile (Pilot Fuel Enrichment Plant – PFEP), ed è eretta al di sopra del suolo. Tuttavia, sempre a Natanz è stato costruito ed attrezzato anche un ampio sotterraneo, dove è possibile produrre uranio arricchito. Questo secondo impianto è stato denominato semplicemente FEP. Tutte le operazioni a Natanz erano già sottoposte al controllo internazionale prima dei nuovi accordi, ma il monitoraggio era vincolato: gli ispettori non potevano accedere agli impianti ed agire là del tutto liberamente.
A seguito di un campionamento effettuato nel mese di maggio del 2010 i risultati confermarono che entrambi gli impianti di arricchimento operavano come dichiarato – in particolare il FEP producendo LEU con livelli inferiori al 5% di arricchimento [2].
Entrambi gli impianti sono provvisti di centrifughe disposte a cascata. Presso il PFEP due cascate sono state progettate per la produzione di LEU arricchito di U235 fino al 20%, apparentemente per il reattore di ricerca di Teheran (TRR) – ufficialmente l’intero impianto è dichiarato essere destinato ad attività di Ricerca e Sviluppo.
Durante l’ispezione di cui sopra, si venne a sapere che nel mese di febbraio dello stesso anno circa 1950 kg di LEU erano stati prelevati dal FEP e portati al PFEP. L’AIEA reagì affermando che riguardo alle operazioni al PFEP era necessaria una revisione completa delle garanzie sino ad allora offerte. Si concordò dunque per una maggiore sorveglianza e controlli più severi. Il 23 giugno 2011 l’AEOI (Atomic Energy Organisation of Iran) dichiarò una capacità produttiva pari a 5 kg di “LEU-20%” al mese, contro una richiesta del TRR pari a 1,5 kg di “carburante” al mese. In seguito l’AIEA riferì che i tassi di produzione mensile di “LEU-20%” erano aumentati in modo significativo.
Non si trattava del primo campanello d’allarme, ma dell’ennesimo.
Negli ultimi 15 anni le centrifughe a Natanz sono diventate diverse migliaia, molte sono entrate in funzione prima di essere dichiarate all’AIEA, altre sono state installate apparentemente senza mai entrare in funzione, altre ancora sono state pianificate. Alle “cascate di Natanz” si sono aggiunte dal 2006 (ufficializzate solo nel 2009) quelle di Fordow, nell’omonima base militare sita a circa 20 km a nord di Qom. (Qui le centrifughe sono disposte tutte in un complesso di tunnel sotterranei, e nel 2012 risultavano produrre mediamente 10,6 kg/mese di esafloruro di uranio arricchito al 19,75%.) Non bastassero, dal 2003 sono in corso studi su metodi di arricchimento basati sui laser presso i laboratori di Lashkar Ab’ad, sembrerebbe con ottimi risultati – secondo gli iraniani, che però non hanno condiviso molte informazioni a riguardo.
Insieme a tutti questi impianti di arricchimento l’Iran può “schierare” qualche risorsa mineraria (più che altro riserve stimate in modo approssimativo) e le strutture di Esfahan (Isfahan). Qui, l’Esfahan Nuclear Technology Center (ENTC), come evidenziato dall’Institute for Science and International Security (ISIS – uno strano caso di omonimia), è perfettamente attrezzato per le operazioni di conversione e trattamento dell’uranio che caratterizzano il processamento del “combustibile” nucleare [5].
Detto questo, siamo (finalmente) pronti per il “secondo passo”.
Negli ultimi tre anni la preoccupazione internazionale attorno alla filiera nucleare iraniana è cresciuta con l’aumentare delle attività concernenti l’arricchimento dell’uranio fino al 20% di U235. Ed è presto spiegato il perché: in termini di Unità di Lavoro Separativo (ULS) – ovvero di energia spesa, quel tipo di prodotto è anche potenzialmente materiale pronto al 90% per un ordigno nucleare [6]. E sebbene aver prodotto del “LEU-20%” non significhi automaticamente trovarsi a circa il 90% del percorso temporale per arrivare alla bomba, significa tuttavia avere bisogno solo di un piccolo impianto, magari clandestino, per colmare il divario.
Ragionando in termini di tempo e tenendo conto di tutte le condizioni al contorno, nello scenario più favorevole l’Iran ad oggi si troverebbe a circa 3 mesi dal realizzare una bomba atomica – se mai lo volesse fare. Applicando invece gli accordi sottoscritti, si troverebbe a circa 1 anno dal medesimo obiettivo. Un periodo di tempo di solito sufficiente per prendere decisioni sensate e “fare qualcosa”.
Infine, il “terzo passo” ci porta al reattore di Arak (IR-40).
Si tratta di un reattore moderato ad acqua pesante da 40 MW, “alimentato” con uranio naturale. Ufficialmente dovrebbe sostituire il vecchio reattore di Teheran per la produzione di radioisotopi a scopi di ricerca o per uso medico/industriale. La costruzione è in corso da tempo, e l’impianto incompleto è stato “inaugurato” nel mese di agosto del 2006. Tre anni dopo era completo solo al 63%, e si prevedeva di installare il recipiente del reattore nel 2011. A luglio 2011 l’AEOI segnalò uno stato di avanzamento dei lavori pari al 75%. Ufficialmente il Governo iraniano ha posto il reattore sotto la salvaguardia dell’AIEA, e l’IR-40 è stato oggetto di ispezioni. Tuttavia, a partire dal 2006 l’Iran ha rifiutato di fornire informazioni all’AIEA sulla progettazione di dettaglio, impedendo di fatto che fossero dissipate le preoccupazioni riguardo allo scopo specifico.
Il problema è che il design dell’IR-40 (made in Russia) è molto simile a quello dei reattori utilizzati da India e Israele per produrre plutonio per le armi nucleari [7].
In aggiunta, esiste ed è funzionante ad Arak un impianto di produzione di acqua pesante, dove all’AIEA è stato negato l’accesso dal 2011 al novembre 2013.
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha chiesto che i lavori di costruzione dell’IR-40 (mai completati) cessino definitivamente, anche se a febbraio 2014 l’AEOI ha dichiarato che la produzione prevista di 9 kg/anno di plutonio non sarebbe mai stata del tipo weapons grade [8].
Con il nuovo accordo, la Cina si è subito impegnata a modificare radicalmente il reattore di Arak, in modo da eliminare qualsiasi sospetto sulla produzione del plutonio.

(continua…)

 

Note:

[2]Con arricchimento dell’uranio si intende il processo che porta all’aumento del contenuto di U235 in una data massa di uranio. In natura, fatta eccezione per i casi di “fissione naturale”, come nel “geo-reattore” di Oklo, tipicamente il radioisotopo U235 è presente con una concentrazione pari allo 0,72%. Aumentando tale concentrazione, ossia arricchendo l’uranio naturale (NU), si ottengono principalmente tre tipi di prodotti: il Low-enriched Uranium (LEU) 3-5%, che viene utilizzato soprattutto nei reattori moderati ad acqua leggera (LWR) pressurizzati o bollenti (reactor grade); il LEU 12-20%, che viene utilizzato nei reattori di ricerca e per la produzione di radioisotopi per la medicina nucleare o l’industria in generale; e l’Highly Enriched Uranium (HEU) 90%, l’unico adatto per la fabbricazione di ordigni nucleari (weapons grade). Esiste anche lo Slightly Enriched Uranium (SEU) 0,9-2%, che nei reattori moderati ad acqua pesante può rimpiazzare il NU (e.g. nei CANDU).

[4]Ridente cittadina situata nel dipartimento degli Yvelines, nella regione dell’Île-de-France. Fu assai frequentata nella seconda metà degli anni ’70, quando una certa intellighenzia vi si riuniva per godere della compagnia di monsieur Khomeini.

[5]Ad Isfahan la produzione è stata interrotta nel 2014 rispettando i termini del Joint Action Plan che ha preceduto i nuovi accordi appena stipulati. Il sito ospita anche tre piccoli reattori di ricerca, costruiti con l’aiuto dei cinesi.

[6]A novembre 2014 l’Iran aveva prodotto un totale di 13.397 kg di esafluoruro di uranio arricchito fino al 5%, di cui 8390 kg erano rimasti in quella forma, ed il resto era stato ulteriormente elaborato. In precedenza il tasso di produzione era di circa 233 kg/mese. Grosso modo 3437 kg di LEU-5% sono stati utilizzati per produrre 448 kg di LEU-19,75% negli impianti PFEP (Natanz) e FFEP (Fordow), superando di gran lunga le esigenze per il reattore di ricerca di Teheran (TRR). A maggio 2015 l’Iran risultava avere a disposizione circa 260 kg di materiale trasformabile in circa 56 kg di uranio weapons-grade con il contributo di sole 1800 ULS (con un tasso di produzione facilmente incrementabile utilizzando la capacità già installata).

[7]In realtà tutti i reattori moderati ad acqua pesante offrono preoccupazioni di questo tipo, in quanto la moderazione con deuterio favorisce la trasmutazione U238-Pu239: assorbendo un neutrone l’isotopo U238 diviene U239 e decade rapidamente in Pu239 con un processo a soli 2 step.

[8]Il plutonio weapons grade presenta una concentrazione dell’isotopo Pu239 tipicamente pari a circa il 93%.

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